Vorsorgelücke Frauen

Sette consigli in materia di previdenza per le donne – e anche per gli uomini

Il lavoro a tempo parziale, l’interruzione dell’attività lavorativa oppure il divorzio hanno pesanti ripercussioni sulla propria previdenza. Una volta questi argomenti riguardavano piuttosto le donne, oggi sempre di più anche gli uomini. I seguenti consigli sono dunque rivolti a entrambi i sessi.

Il nostro sistema previdenziale fondato su 3 pilastri è stato ancorato nella Costituzione federale nel 1972. Sino a oggi si è dimostrato straordinariamente valido, seppure con qualche limite. In particolare, negli ultimi quarant’anni è cambiata molto la distribuzione dei ruoli: in passato guadagnare uno stipendio era compito soprattutto degli uomini, mentre le donne si occupavano della casa e dell’educazione dei figli.

Questo si riflette anche nell’impostazione del nostro sistema previdenziale: fintanto che l’uomo lavora al 100 percento senza interruzioni e le prestazioni previdenziali sono ripartite in pari misura tra i coniugi non sorgono problemi.

Il divorzio, il reinserimento nell’attività professionale o il lavoro a tempo parziale erano allora fenomeni marginali.

I problemi che ne conseguono sono concretizzati nell’esempio seguente: per chi riduce il proprio grado di attività dal 100 al 50 percento anche il contributo di risparmio nella cassa pensioni dovrebbe teoricamente dimezzarsi. In realtà scende spesso soltanto al 25 percento (v. punto 3). In proposito leggere anche: Disparità tra i sessi nella previdenza – Per le donne le rendite di vecchiaia sono inferiori a quelle degli uomini.

È dunque importante conoscere le insidie del nostro sistema previdenziale. Solo così è possibile correggere il tiro e impedire una lacuna a livello pensionistico. I sette consigli seguenti potrebbero esservi utili.

1. Verificate la validità della vostra situazione previdenziale

Non ci vuole molto per accertare la propria situazione previdenziale e vale senz’altro la pena di farlo. Per la cassa pensioni è sufficiente studiarsi l’attestato che viene inviato ogni anno. Il significato delle cifre è spiegato in modo semplice e comprensibile nella nostra guida (“Come leggere il certificato previdenziale“).

La verifica dell’AVS è un po’ più laboriosa: in linea di principio la rendita annua si colloca, a seconda dello stipendio, tra un importo mensile minimo di 1175 franchi e un massimo di 2350. Per le coppie sposate il limite superiore è di 3525 franchi. Ma attenzione: le cifre indicate valgono solo in caso di un versamento ininterrotto. Leggete qui come verificare in tre mosse la vostra futura rendita AVS.

2. AVS: così funzionano gli accrediti per compiti educativi e gli accrediti per compiti assistenziali

All’AVS è importante in ogni caso evitare una lacuna ai fini delle rendite. Infatti, per ogni anno di contribuzione mancante, la rendita si riduce di un 44°. Chi non percepisce uno stipendio, per esempio a causa di un percorso di studi, dovrebbe versare comunque i propri contributi all’AVS. Tuttavia, se allevate i figli oppure vi occupate di familiari bisognosi di assistenza, vi viene computato nella vostra futura rendita AVS.

I figli al di sotto dei 16 anni danno diritto a un accredito per compiti educativi, che corrisponde al triplo della rendita minima annua, nel 2015 pari a 14‘100 franchi (ossia 12 volte 1175 franchi). Moltiplicando per tre questa cifra si arriva quindi a 42‘300 franchi. Se i genitori sono sposati, l’importo viene ripartito a metà tra i due genitori, indipendentemente dal loro coinvolgimento personale nell’educazione dei figli. Per un figlio il totale degli accrediti per compiti educativi è pari a 338‘400 franchi, poi divisi per il numero complessivo degli anni di contribuzione: con 44 anni sono 7690 franchi, in aggiunta allo stipendio medio annuale.

Importante: nel caso di più figli gli accrediti per compiti educativi non vengono cumulati.

È determinante soltanto che almeno uno dei figli abbia meno di 16 anni. Anche i genitori separati o le coppie non sposate possono suddividere a metà gli accrediti per compiti educativi, a meno che il giudice oppure l’Autorità di protezione dei minori e degli adulti (APMA) non constati che uno dei genitori (di norma la madre) si assume la parte prevalente del compito educativo. È opportuno conservare accuratamente gli accordi in materia oppure le decisioni delle autorità sul computo dei suddetti accrediti. Questi documenti devono infatti essere presentati al momento della domanda di rendita prima del pensionamento.

Analogamente all’accredito per compiti educativi, anche l’assistenza a familiari bisognosi può essere fatta valere per la determinazione della rendita AVS. L’ammontare dell’accredito è lo stesso e anche qui viene diviso a metà tra i coniugi. Si applicano tuttavia determinati criteri per stabilire quando una persona è bisognosa di assistenza.

3. Prudenza con il lavoro a tempo parziale

Sempre più persone lavorano a tempo parziale. Tra le donne la quota ha nel frattempo raggiunto addirittura il 60 percento. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il lavoro a tempo parziale comporta un notevole peggioramento della situazione previdenziale. Il motivo è la cosiddetta deduzione di coordinamento, attualmente pari a 24‘675 franchi, trattenuta dallo stipendio netto. Facciamo un esempio: chi lavorando al 100 percento guadagna 78‘000 franchi, deducendo i 24‘675 franchi arriva a uno stipendio assicurato di 53‘325 franchi.

Chi ha lo stesso stipendio base, ma lavora soltanto al 50 percento, vede diminuire il proprio salario assicurato nel secondo pilastro a 14‘325 franchi (39‘000 franchi meno 24‘675 franchi). In altri termini il contributo di risparmio nella previdenza professionale raggiunge solo un quarto (il 50 percento di 53‘325 franchi corrisponderebbe a un salario assicurato di 26‘662 franchi). Se lo stipendio scende sotto la soglia d’entrata di 21‘150 franchi, il datore di lavoro non è più obbligato ad affiliare il dipendente alla cassa pensioni. Ciò potrebbe succedere se qualcuno svolge due lavori a tempo parziale al 25 percento, ognuno con uno stipendio annuo di 19‘000. Esistono tuttavia casse pensioni, che trattano più generosamente i lavoratori a tempo parziale, nel senso che adattano la deduzione di coordinamento al grado di occupazione. Per saperne di più potete consultare questo link. Verificate dunque con il vostro istituto di previdenza a quanto ammonta la deduzione di coordinamento nel vostro caso.

4. Attenzione in caso di divorzio

In un divorzio il capitale accumulato nella previdenza professionale costituisce, nella maggior parte dei casi, la parte prevalente del patrimonio, spesso è addirittura l’unica risorsa finanziaria. In linea di massima il patrimonio messo da parte durante il matrimonio viene diviso a metà, ma purtroppo mancano regole precise su come viene effettuata questa ripartizione, per esempio se gli averi della cassa pensioni versati dal marito siano accreditati alla parte obbligatoria o a quella sovraobbligatoria dell’avere previdenziale della moglie. E il denaro in ballo è parecchio. Nella maggior parte dei casi, infatti, sia la remunerazione sia il tasso di conversione sono molto peggiori nella parte sovraobbligatoria. In alcuni casi quest’ultimo ammonta appena al 5 percento, mentre alla parte obbligatoria si applica un tasso di conversione del 6,8 percento. In altri termini, per ogni 100‘000 franchi di avere di previdenza viene versata una rendita annua di vecchiaia di 6800 franchi (con il 5 percento sarebbero solo 5000).

Chi in seguito a divorzio cede una parte del suo capitale di previdenza può compensare questo importo con un riscatto nella cassa pensioni. Il relativo importo è deducibile dal reddito imponibile e per questo motivo viene ripartito su più anni nella maggior parte dei casi. Anche qui è comunque opportuno verificare dove va a finire questo denaro. La prassi può variare notevolmente a seconda dell’istituto di previdenza. Maggiori informazioni sulla parte obbligatoria e su quella sovraobbligatoria del secondo pilastro sono pubblicate qui.

5. Il rischio della convivenza per la copertura previdenziale

La legge non disciplina esplicitamente la forma della convivenza. Proprio in materia di previdenza ciò può comportare pesanti ripercussioni, soprattutto per il partner che guadagna meno. È particolarmente evidente per il primo pilastro: dal punto di vista giuridico i partner conviventi sono single. Ciò significa che al decesso del partner non percepiscono una rendita vedovile. Anche in caso di divorzio il capitale accumulato nell’AVS non è ripartito come per le persone coniugate. Soprattutto chi riduce in misura notevole la propria attività professionale dovrebbe assolutamente evitare una lacuna nel primo pilastro e versare all’AVS il contributo annuo minimo di 480 franchi. Inoltre gli accrediti per compiti educativi possono essere interamente registrati sul conto del partner che non lavora.

Sul fronte della previdenza professionale il trattamento del convivente dipende molto dal regolamento applicato dalla rispettiva cassa pensioni.

Sebbene non esista alcun obbligo legale, in caso di decesso molte casse versano spontaneamente una rendita o una prestazione in capitale a condizione che siano soddisfatti determinati requisiti. È dunque opportuno informare tempestivamente la cassa pensioni del rapporto di convivenza. In caso di separazione, tuttavia, il patrimonio della cassa pensioni non viene suddiviso, come avviene per le coppie sposate.

Esistono comunque anche casi in cui le coppie conviventi sono favorite ai fini della rendita AVS, ossia quando entrambi guadagnano più o meno lo stesso stipendio: mentre la rendita massima AVS per i coniugi ammonta a 3525 franchi al mese (150 percento della rendita massima individuale di 2350 franchi), la rendita per la vecchiaia in caso di convivenza può salire fino a 4700 franchi (200 percento di 2350 franchi). Ma se uno dei partner muore, chi sopravvive si trova in una posizione migliore con il matrimonio grazie alla rendita per i superstiti.

6. Il pilastro 3a conviene in ogni caso

Il modo migliore di impedire una lacuna nella previdenza per la vecchiaia è di effettuare versamenti regolari nel pilastro 3a. Tra l’altro il fisco lo incoraggia con generose agevolazioni sulle tasse. Qui trovate un esempio di calcolo che quantifica gli sgravi fiscali. E in un altro articolo del Blog illustriamo le notevoli discrepanze regionali: a seconda del luogo di domicilio è possibile risparmiare fino a cinque volte più tasse (v. “Quando gli ultimi sono i primi“).

I dati della Banca Migros dimostrano che il terzo pilastro è molto apprezzato anche dalle donne, cui nello scorso anno è pur sempre attribuibile il 45 percento dei versamenti. Importante: anche le persone che guadagnano poco, quindi sono al di sotto della soglia d’entrata della previdenza professionale (stipendio annuo di 21’150 franchi), possono avvalersi del pilastro 3a. Il versamento massimo per i lavoratori affiliati a una cassa pensioni è attualmente di 6768 franchi. Chi lavora a tempo parziale e non aderisce a una cassa pensioni può versare al massimo il 20 percento dello stipendio annuo netto, analogamente ai lavoratori autonomi, ossia 4000 franchi per un reddito di 20‘000 franchi.

7. Il riscatto nella cassa pensioni

Nella maggior parte dei casi gli affiliati a una cassa pensioni non hanno pienamente sfruttato il proprio potenziale di riscatto (maggiori dettagli sono pubblicati qui). Proprio le donne, che per la maternità hanno interrotto l’attività lavorativa oppure hanno provvisoriamente ridotto il grado di occupazione, possono di norma riscattare importi piuttosto elevati nella cassa pensioni. Un altro vantaggio è rappresentato dal fatto che queste somme sono deducibili dal reddito imponibile. Per interrompere la progressione fiscale vale spesso la pena di ripartire il riscatto su diversi anni (v. Consigli fiscali sulla previdenza).

Per i più giovani il pilastro 3a è prioritario per un semplice motivo: qui l’agevolazione fiscale è concessa solo nell’anno in corso, quindi chi non effettua il versamento non può più recuperarlo.

Nel secondo pilastro è diverso: il momento del riscatto può essere scelto liberamente. Per la maggior parte delle persone vale dunque la pena di cominciare a investire nella cassa pensioni a partire da 50 – 55 anni, quando molti guadagnano di più, quindi la progressione fiscale è più elevata. Tra l’altro a questa età le deduzioni fiscali solitamente diminuiscono, perché i figli sono ormai diventati adulti.

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