Azioni per il clima: come finanziarle?

La sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Fondo per il clima getta nel caos la pianificazione del bilancio in Germania. Ma il verdetto echeggia al di là della Germania e solleva interrogativi fondamentali sul debito pubblico.

No, Olaf Scholz non è da invidiare. Per il Cancelliere tedesco, in questi giorni è in gioco niente di meno che ciò che resta del suo «doppio colpo». È questo il termine, tanto eloquente quanto efficace sui media, con cui Scholz ha definito, alla fine del 2022, l’autorizzazione del Fondo di stabilizzazione economica (Fse) a raccogliere fino a 200 miliardi di euro sul mercato dei capitali. Lo stanziamento è destinato a finanziare, tra le altre cose, il freno al prezzo dell’elettricità e del gas in Germania. Ma questa procedura ha pericolosamente cominciato a vacillare e il «doppio colpo» rischia ora di trasformarsi in un vero e proprio «colpo alle spalle».

Il bilancio va programmato nei limiti legali

Come si è giunti a questo punto? Il disastro si è consumato venerdì scorso a Karlsruhe. La Corte costituzionale federale, e quindi l’istanza di massima giurisdizione tedesca, ha sentenziato che è incostituzionale trasferire 60 miliardi di euro di fondi destinati alla lotta contro la crisi del coronavirus e non più necessari al Fondo per il Clima e la Trasformazione (Klima- und Transformationsfonds, KTF). Tuttavia, è proprio questo ciò che ha deciso l’anno scorso il Bundestag tedesco con un bilancio suppletivo con effetto retroattivo al 2021. In questo modo, la Corte costituzionale ha criticato in particolare i seguenti due punti.

In primo luogo, la riallocazione al KTF non è sufficientemente giustificata. Il retroscena di questa constatazione è che i 60 miliardi erano disponibili solo perché il freno al debito era stato sospeso durante la pandemia da covid. Tale sospensione è tuttavia consentita solo in situazioni di emergenza e i mezzi impiegati per farvi fronte devono essere direttamente correlati ad esse. La Corte costituzionale federale non ritiene che vi sia tale correlazione tra gli effetti della pandemia da covid (situazione di emergenza) e il Fondo per il clima (scopo).

In secondo luogo, eventuali progetti supplementari dovrebbero essere adottati prima della fine dell’esercizio finanziario pertinente e non potrebbero quindi essere adottati retroattivamente per il periodo precedente. In particolare, questa critica del «doppio colpo» di Karlsruhe mette ora in difficoltà il Fondo di stabilizzazione economica. Infatti, come nel caso del Fondo per il clima, gran parte degli stanziamenti di credito del Fondo di stabilizzazione economica sono, per così dire, parcheggiati in riserva per gli anni successivi: i crediti vengono erogati senza essere utilizzati nello stesso esercizio finanziario. Come il Fondo per il clima, il Fse viola quindi il «principio di annualità».

Si è innescata una valanga

Ciò significa che nella coalizione semaforo tedesca è divampato un incendio, per non dire altro. Ed è significativo che la discussione finale della Commissione bilancio sul bilancio federale 2024, prevista per la prossima settimana, sia stata annullata all’ultimo minuto e in un primo momento solo con una frase scarna. La sentenza di Karlsruhe sul Fondo per il clima ha letteralmente innescato una valanga che minaccia di travolgere completamente la pianificazione finanziaria della Repubblica federale e da cui sarà difficile uscire illesi.

La situazione attuale è solo un passo falso di un governo di coalizione che sta comunque affrontando venti contrari ormai da molto tempo? È quindi una questione riguardante solo la Germania? In questa declinazione, sicuramente. Tuttavia, la natura fondamentale del problema di fondo va ben oltre la Germania. La Corte costituzionale federale, infatti, non ha posto restrizioni legali a qualsiasi uso dei fondi. Si tratta piuttosto di voci di spesa per qualcosa su cui c’è un ampio consenso in Europa: la protezione del clima e gli investimenti necessari per realizzare tale obiettivo nella relativa trasformazione dell’economia.

Delle «buone intenzioni» non significano sempre un «buon lavoro»

Karlsruhe ha messo in evidenza che una nobile intenzione (protezione del clima) non comporta l’esonero dagli obblighi di legge. Anche per conseguire gli obiettivi climatici non è consentito ricorrere a trucchi di bilancio e i fondi corrispondenti devono essere messi a disposizione all’interno di un quadro giuridico e normativo corretto. Nel caso della Germania, ciò significa che le spese previste per la protezione del clima – se effettivamente vengono sostenute in tale misura – dovranno in ultima analisi essere finanziate con ulteriori nuovi debiti. Solo un neo: il nuovo indebitamento massimo è limitato dalle disposizioni sul limite del debito sancite dalla Costituzione tedesca.

Un dilemma di fronte al quale si trovano molti Stati europei. Secondo uno studio pubblicato in gennaio, il fabbisogno finanziario dell’UE (inclusi Regno Unito, Svizzera e Norvegia) per raggiungere l’obiettivo netto zero entro il 2050 ammonta a più di 300 miliardi di euro – all’anno. Nel contempo, tuttavia, in molti Paesi la situazione finanziaria è più che tesa e ci si chiede legittimamente da dove si debbano attingere i fondi. In molti luoghi – vedi la Germania – è probabile che esistano limiti legali o costituzionali a manovre di pianificazione di bilancio troppo creative. Ciò che rimane è il controfinanziamento attraverso nuovi prestiti, che – ancora una volta, vedi la Germania – spesso solleva il problema dei limiti del debito e del deficit, che in realtà sono anch’essi ristretti.

È vero che solo pochi Stati dell’UE dispongono di un freno al debito, che viene anche rispettato con diversi gradi di franchezza. Ma, almeno per i Paesi della zona euro, ci sarebbero pur sempre i criteri di Maastricht. E il condizionale è stato impiegato consapevolmente. Questo perché i requisiti – un debito nazionale non superiore al 60% del PIL e un deficit annuale non superiore al 3% – per svariati Paesi dell’Eurozona sono degenerati di fatto in cartastraccia (vedi grafico).

Il fine giustifica i mezzi?

Sì, il raggiungimento degli obiettivi climatici ha un prezzo. Costa tanti soldi. Reperire questi fondi sarà un’impresa ardua in tempi di ristrettezze delle casse statali e di alti tassi di interesse. Tuttavia, la sentenza di Karlsruhe mette in luce un punto: giustamente, in uno Stato di diritto il margine di manovra dei finanziamenti può essere esteso solo in misura molto limitata. E ciò che vale a livello nazionale dovrebbe valere anche a livello sovranazionale. In altre parole, anche se riguardo ai criteri di Maastricht è ormai accettato un andazzo sempre più esteso, è importante valutare molto attentamente se, in nome delle misure di protezione del clima, ulteriori e più gravi violazioni sarebbero davvero efficaci. Perché non sempre il fine giustifica i mezzi, anzi: uno sviluppo sostenibile nell’ottica dell’equità intergenerazionale non implica solo lasciare un ambiente il più possibile intatto e vivibile. Significa anche garantire che le generazioni future non ereditino una montagna di debiti non più gestibile.

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