Svolta verde a cavallo tra geopolitica e politica industriale

La politica industriale sta vivendo una rinascita. Molte economie fanno a gara nella concessione di incentivi e sovvenzioni per accelerare la transizione verso le energie rinnovabili. La Svizzera rappresenta un’eccezione, il suo è un approccio più liberale.

Negli ultimi anni è tornata di moda la politica industriale: sia gli Stati Uniti che l’Unione europea hanno lanciato iniziative di politica industriale su vasta scala volte a decarbonizzare l’economia, ridurre le dipendenze commerciali e potenziare la concorrenza. Ed ecco che i poteri pubblici intervengono nell’economia con sovvenzioni e agevolazioni fiscali per i settori ritenuti strategici per perseguire un obiettivo più ambizioso. La promozione di settori e prodotti specifici o tecnologie del futuro viene definita politica industriale verticale e può avere effetti collaterali come distorsioni della concorrenza o la creazione di falsi incentivi e un’allocazione non efficiente delle risorse. Ultimo ma non meno importante, le misure di politica industriale costituiscono un rischio di mercato non solo per le imprese che operano in settori diversi da quelli supportati, ma anche per le imprese di altri Paesi che non possono usufruire del sostegno diretto.

Un duplice obiettivo

Con l’approvazione nell’agosto 2022 di due pacchetti dell’ordine di miliardi, Inflation Reduction Act (IRA) e Chips and Science Act, il presidente Biden si è prefissato obiettivi sia ecologici che geopolitici. In totale, sotto forma di sovvenzioni dirette o crediti d’imposta, nell’arco di un decennio oltre 1000 miliardi di dollari saranno destinati a progetti di ricerca e produzione nell’ambito della transizione verde.

La prima legge prevede un pacchetto sanitario sociale che, tra le altre cose, fissa limiti al prezzo dei medicamenti soggetti a prescrizione medica, con una promozione mirata della produzione nazionale della tecnologia di batterie per la mobilità elettrica e altre misure per mitigare il cambiamento climatico, come ad esempio la creazione di una banca «verde» che cofinanzi progetti che mirano alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

La seconda legge riguarda la creazione di incentivi per la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti. I semiconduttori sono essenziali in molti prodotti elettronici e vengono utilizzati anche nella produzione di celle solari. A dominare la produzione mondiale sono aziende dell’Estremo Oriente (Taiwan, Corea del Sud e Giappone) e gli Stati Uniti stessi. Il pacchetto di incentivi è stato introdotto in risposta alla carenza, a livello mondiale, di semiconduttori strategicamente molto importanti, una carenza con cui l’economia mondiale ha dovuto fare i conti negli anni della pandemia.

Oltre alla promozione della transizione verde, questa rinascita della politica industriale statunitense è stata motivata anche da ragioni politiche. Il governo degli Stati Uniti intende ridurre la sua dipendenza dall’estero, e in particolare dalla Cina, in un settore altamente strategico come l’approvvigionamento energetico. Questo anche sullo sfondo di un drastico inasprirsi del conflitto commerciale tra la prima e la seconda economia mondiale: di recente, il Paese asiatico è stato accusato di inondare i mercati internazionali di prodotti artificialmente ridotti di prezzo grazie a ingenti sovvenzioni. Il governo degli Stati Uniti risponde con il massiccio aumento dei dazi sull’importazione di auto elettriche, semiconduttori e celle solari.

L’Unione europea non sta a guardare…

In risposta al sostegno americano all’industria dei semiconduttori, la Commissione europea ha deciso nel 2023 di introdurre un pacchetto di misure simile, ma con un budget significativamente inferiore, per sostenere la propria produzione. Si tratta di un’integrazione allo European Green Deal, introdotto poco prima della pandemia del Covid, che costituisce un elemento centrale della politica climatica ed è volto a ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050 mediante regolamentazioni e sovvenzioni. Ai fini di una valida attuazione del Green Deal, nel febbraio dello scorso anno la Commissione europea ha adottato il Green Deal Industrial Plan, un pendant, per così dire, dell’IRA americano. Tuttavia, a differenza degli Stati Uniti, il processo è molto più complicato, poiché bisogna considerare le resistenze e i dubbi finanziari tra gli Stati membri dell’UE.

…mentre la Svizzera va per la sua strada

La Svizzera non scende in campo in questa competizione per una politica industriale di più ampio respiro. In una dichiarazione pubblicata di recente, il Consiglio federale riconosce che per le imprese svizzere alcune misure potrebbero essere problematiche a causa delle crescenti distorsioni della concorrenza e del protezionismo. Può quindi accadere che imprese operanti a livello internazionale trasferiscano i loro stabilimenti di produzione in Paesi che offrono aiuti statali.

In conclusione, il Consiglio federale sottolinea, sulla base di un sondaggio aziendale e di stime quantitative, che gli effetti negativi della politica industriale estera sono contenuti e che per le aziende nazionali potrebbero emergere nuovi mercati di sbocco. Invece di una politica industriale verticale che distorce la concorrenza, per un’economia piccola e di stampo aperto il Consiglio federale predilige un approccio orizzontale che preveda il miglioramento delle condizioni quadro economiche per tutte le imprese e promuova in modo neutrale i settori e le tecnologie del futuro, con l’obiettivo primario di mantenere l’attrattiva della piazza di produzione svizzera in un contesto dinamico. Le priorità sono fissate nell’agenda di politica economica del Consiglio federale per la legislatura in corso, che comprende sei sfide generali. Tra queste figurano cambiamenti strutturali come un approvvigionamento energetico sicuro, conveniente e sempre più decarbonizzato, un migliore sfruttamento del potenziale della forza lavoro interna, una legislazione più favorevole all’innovazione e un migliore accesso ai mercati esteri.

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