I Paesi emergenti sono molto impopolari. Le fosche prospettive congiunturali e il brutto anno borsistico 2022 influenzano il comportamento d’investimento. I Paesi emergenti hanno buone prospettive per quest’anno, purché si concluda il rialzo dei tassi e abbia un buon esito la riapertura della Cina.
I Paesi emergenti sono più penalizzati rispetto ai Paesi industrializzati. Molti investitori sono scettici di fronte alle fosche prospettive congiunturali globali e mantengono una netta sottoponderazione nei Paesi emergenti rispetto ad altre classi di asset. Al momento la maggior parte degli investitori preferisce un orientamento difensivo. Questo non contempla assolutamente la classe di asset dei Paesi emergenti, pur essendo una classe di attivi interessante e probabilmente poco presa in considerazione. I tassi di crescita previsti per quest’anno per i Paesi emergenti sono nettamente superiori a quelli dei Paesi industrializzati. Ad esempio, il Fondo monetario internazionale (FMI) prevede quest’anno una crescita nei Paesi emergenti del 3,7%, mentre per gli Stati Uniti e l’eurozona è attesa una crescita rispettivamente dell’1,0% e dello 0,5%. Per quest’anno la Banca Migros stima una crescita dello 0,3% negli Stati Uniti e un leggero calo del -0,2% in Europa.
Lo scorso anno, l’indice dei Paesi emergenti MSCI Emerging Market ha perso il 20%. Le azioni presentano dunque valutazioni molto basse rispetto all’indice americano e a quello europeo. I motivi della cattiva performance delle azioni sono stati il forte rallentamento dell’economia mondiale, il più rapido inasprimento della politica monetaria negli Stati Uniti degli ultimi tre decenni, la rigorosa politica zero Covid della Cina e l’innalzarsi dei rischi geopolitici. Quest’anno il contesto sarà altrettanto negativo per i Paesi emergenti? O ci sono motivi per essere più ottimisti?
Fine della politica zero Covid in Cina
Lo scorso dicembre è avvenuto un importante evento macroeconomico per i Paesi emergenti: l’abbandono della politica zero Covid da parte della Cina. Sebbene da allora la Cina stia lottando per far fronte a forti ondate di infezioni, l’apertura dell’economia cinese genererà un’incredibile necessità di recuperare terreno tra i consumatori e le consumatrici cinesi. Negli ultimi anni una buona fetta della popolazione cinese ha rinunciato a fare importanti acquisti, potendo così accumulare risparmi in una misura piuttosto elevata. La domanda accumulata è positiva non solo per l’economia cinese, ma anche per i Paesi emergenti. Come importante partner commerciale, la Cina è rappresentata con oltre il 30% nell’indice dei Paesi emergenti MSCI Emerging Market (MXEF). È dunque assolutamente possibile che l’indice dei Paesi emergenti MSCI Emerging Market abbia toccato il punto minimo rispetto agli indici MSCI World e S&P 500. La generosità dei prestiti concessi e le misure adottate dal governo cinese per sostenere il settore immobiliare in difficoltà stanno accelerando l’apertura della Cina. A differenza di Stati Uniti e Europa, la Cina può permettersi una politica monetaria favorevole alle attività economiche, dal momento che non sta affrontando un’inflazione elevata e tassi di riferimento in aumento.
Un dollaro debole aiuta i Paesi emergenti
L’indice del dollaro statunitense (DXY) misura il valore del dollaro rispetto a un paniere composto da sei valute diverse (euro, yen, sterlina britannica, dollaro canadese, corone svedesi e franco svizzero). Un dollaro debole è generalmente positivo per i Paesi emergenti, poiché il debito relativo in USD diminuisce e le valute locali si rivalutano. Lo scorso anno il DXY è cresciuto del 7,6%, mentre l’MSCI Emerging Market Index si è deprezzato del 20%. Una delle ragioni principali è stata la politica monetaria rigorosa della Fed. Tuttavia, si rafforzano i segnali che il ciclo di rialzo dei tassi della Fed si stia avvicinando al termine e che vi sarà un aumento della pressione sul dollaro. Nell’anno da poco iniziato constatiamo già un indebolimento del dollaro e un andamento positivo dell’MSCI Emerging Market: l’indice del dollaro si è indebolito dell’1,2%, mentre l’MSCI Emerging Market si è rivalutato del 7,1%.
Il conflitto USA-Cina cambia le relazioni commerciali a favore dei Paesi emergenti
Il conflitto commerciale tra Cina e Stati Uniti sta mettendo in discussione le catene di approvvigionamento esistenti. Il bisogno di indipendenza dalla Cina è cresciuto notevolmente tra i Paesi occidentali. I Paesi emergenti si presentano come alternative interessanti, soprattutto nei settori dei consumi e dell’industria. Si prevede l’insorgere di nuove relazioni commerciali tra i Paesi industrializzati e i Paesi emergenti. La Cina stessa cercherà anche di affermarsi maggiormente nei Paesi emergenti per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti e portare avanti il programma infrastrutturale «Belt & Road». Questi ultimi sviluppi aiutano i Paesi emergenti.
Anche se le prospettive economiche per i prossimi mesi sono offuscate, i Paesi emergenti non vanno dimenticati. Al più tardi quando il ciclo di rialzo dei tassi della FED sarà concluso e la riapertura della Cina sarà completata con successo, gli investitori e le investitrici dovrebbero riconsiderare la loro esposizione ai Paesi emergenti. Anche e proprio perché i Paesi emergenti sono così impopolari.
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