Come previsto, il tasso ipotecario di riferimento scende di un quarto di punto percentuale. Tuttavia, gli affitti non dovrebbero scendere su ampia scala. Per il singolo nucleo familiare, l’eventuale alleggerimento risulta nel migliore dei casi marginale. A livello nazionale può avere una certa rilevanza.
Il tasso ipotecario di riferimento si riduce dall’1,75% all’1,5%, come comunicato dall’Ufficio federale delle abitazioni oggi, 3 marzo 2025. E questo dopo che già a dicembre 2024 il tasso di riferimento per gli affitti aveva quasi sfiorato da una riduzione. Dal momento che gli adeguamenti trimestrali sono arrotondati aritmeticamente a un quarto di punto percentuale e i tassi swap determinanti per le ipoteche sono leggermente inferiori, l’attuale allentamento non sorprende tuttavia.
L’euforia non è opportuna
Che si tratti di sorprese o meno, chi abita in affitto in Svizzera prende volentieri atto della riduzione del tasso di riferimento. Esiste un diritto fondamentale (alla prima data di disdetta possibile) alla riduzione dell’affitto, nella misura in cui il canone di locazione dell’appartamento sia ancora fissato alla base dell’1,75%. Dalla riduzione del tasso di riferimento di un quarto di punto percentuale risulta un diritto massimo possibile alla riduzione del 2,91%. Sarebbe davvero una buona notizia per gli inquilini.
Sarebbe perché la situazione di partenza è diversa dal solito. Questo è dovuto al fatto che, in caso di richiesta di modifica dell’affitto, il locatore può compensare, oltre a un aumento generale dei costi compreso tra lo 0,5% e un massimo dell’1%, anche il 40% dell’inflazione maturata. Poiché negli ultimi anni anche la Svizzera ha dovuto far fronte a un’inflazione particolarmente elevata, una richiesta di riduzione dell’affitto può quindi addirittura rivelarsi un boomerang.
Molte insidie si nascondono
Se, ad esempio, l’ultimo adeguamento della pigione risale a luglio 2015 (prima del dicembre 2023 il tasso di riferimento è salito per l’ultima volta all’1,75% nel giugno 2015), l’inflazione maturata da allora è di circa il 7,2%. Il locatore può trasferire il 40% di questo importo al locatario, ovvero quasi il 2,9%. Anche se come aumento generale dei costi viene aggiunto solo lo 0,5%, la somma contropartita supera nettamente il diritto generale alla riduzione dell’affitto pari al 2,91%. Contrariamente a quanto intuito, il canone d’affitto potrebbe addirittura diventare più costoso nonostante la riduzione del tasso di riferimento.
La situazione è diversa se l’ultimo adeguamento della pigione è stato effettuato nel gennaio 2024 (il tasso di riferimento è salito all’1,75% a dicembre 2023). L’inflazione accumulata da allora è dello 0,4%, per cui la quota per il locatario si aggira intorno allo 0,16%. Anche se come aumento generale dei costi fosse dell’1% intero, in questo caso può valere la pena presentare una richiesta di affitto.
Tuttavia, non è assolutamente sicuro che tale tasso venga soddisfatto. Al tasso di riferimento dell’1,5% attualmente in vigore, i proprietari degli immobili devono soddisfare una richiesta di riduzione solo se il rendimento lordo per le nuove costruzioni è superiore al 5% o il rendimento netto per gli immobili di media età è superiore al 3,5%. Per i vecchi edifici, invece, sussiste un diritto alla riduzione solo se l’affitto è superiore al livello locale.
Un impulso alla domanda dei consumatori?
Quindi, anche nel migliore dei casi, una riduzione dell’affitto non è poi così significativa. Già solo considerando il costante aumento dei premi della cassa malati, per molte economie domestiche un eventuale risparmio sull’affitto sembra una proverbiale goccia nell’oceano. A livello globale, tuttavia, questa riduzione dei costi abitativi può essere senz’altro significativa. In Svizzera, infatti, vi sono circa 2,4 milioni di economie domestiche in affitto, per le quali l’affitto medio è di 1450 franchi. Una riduzione minima dell’affitto si traduce facilmente in decine di milioni di franchi in più di reddito disponibile in tutta la Svizzera. Al mese.
Se questo reddito non viene accantonato, aumentano di conseguenza i consumi. Considerando che la domanda dei consumi privati in Svizzera si attesta a circa 33 miliardi di franchi al mese, si tratta di un aumento tutt’altro che impressionante. È decisamente insufficiente a dare un forte impulso alla crescita economica locale. Ciò nonostante, il calo degli affitti è comunque uno dei motivi per cui non prevediamo un’erosione della domanda dei consumi privati.
L’importante componente di crescita rimane quindi sostenuta anche dai costi degli appartamenti. E lo sarà ancora per lungo tempo. Sulla base delle nostre previsioni sui tassi d’interesse, dunque, per il momento non prevediamo un’ulteriore riduzione del tasso di riferimento. Non ci attendiamo però un nuovo aumento almeno fino al 2026 inoltrato. Il che significa che i canoni d’affitto risparmiati si sommeranno a una somma considerevole.
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