Come lavoreremo insieme in futuro? Cambieranno l’organizzazione del lavoro e la struttura dirigenziale? Che tipo di infrastruttura sarà richiesta? Su incarico della Banca Migros, BAK Economics ha risposto a questi interrogativi.
Questo è un articolo ospite di Michael Grass e Stefan Rupp
Sono numerosi i termini che descrivono il «mondo del lavoro futuro»: «remote work», «new world-new skills», «nuovo mondo del lavoro», «future work» o «postazione di lavoro del futuro» sono solo alcuni di essi. Ma nello specifico dei contenuti questi concetti descrivono talvolta degli aspetti diversi, a loro volta interconnessi. Ne sono interessate aree come:
- leadership e strutture dirigenziali,
- processi,
- capacità (skill) del management e dei collaboratori,
- comunicazione,
- sviluppo e formazione del personale,
- infrastruttura: superfici a destinazione uffici e sistemi digitali.
Da decenni ormai le imprese e i dirigenti devono fare i conti con il termine «new work». A crearlo è stato il filosofo Frithjof H. Bergmann, che nella seconda metà degli anni ’70 viaggiò attraverso i Paesi dell’allora blocco dell’Europa orientale. Studiò i sistemi opposti del capitalismo e del socialismo giungendo alla conclusione che il socialismo non poteva avere un futuro. Fondò il movimento del «nuovo lavoro» e nel 1984 creò il primo centro di «new work» nello Stato USA del Michigan.
Tre forze trainanti di lungo periodo
Nel «nuovo mondo del lavoro» si osservano tre principali forze trainanti da cui scaturisce una complessa miscela di fattori di innovazione pull e push. Essi si influenzano e si rafforzano intensamente l’un l’altro sfociando nel megatrend del «new work».
1. Globalizzazione: dal 1960 gli scambi transfrontalieri di beni sono aumentati del 1874% (fonte: World Trade Organisation/WTO). Reti di succursali in tutto il mondo, outsourcing, catene di produzione internazionali o anche sistemi globalizzati di innovazione, di sviluppo e di formazione (specializzazione o formazione continua) stanno dunque cambiando ormai da anni il modo collaborare all’interno di un’azienda o di un’organizzazione.
2. Digitalizzazione: 40 anni fa i contratti si inviavano per posta, dall’Europa giungevano negli Stati Uniti circa una settimana dopo. Le trattative telefoniche costavano circa 40-50 CHF ogni quarto d’ora. Il vertiginoso sviluppo delle tecnologie dell’informazione, dal fax alle e-mail, fino alle odierne soluzioni online come le videoconferenze, non solo hanno pressoché azzerato i costi di trasmissione, ma hanno anche creato un potenziale di scambi, riunioni e persino workshop più efficienti.
3. Generazione «Y» e «Z»: la generazione Y, quella dei nati fra il 1980 e il 1995, ha imparato a usare tecnologie come Internet, cellulari e smartphone solo in un secondo momento. La generazione Z, nata tra il 1995 e il 2010, è già cresciuta con questi strumenti ed entrerà fra poco nella realtà quotidiana del lavoro. Entrambe le generazioni hanno però un punto in comune: l’esigenza di impiegare anche nel lavoro gli strumenti pratici di cui fanno già uso nella vita di tutti i giorni.
Stando a uno studio condotto dal fornitore britannico di servizi immobiliari Savilli sul tema «office of the future», nella questione dell’ufficio open space non ci sono differenze di parere molto ampie fra le generazioni: il tono generale del sondaggio non lasciava dubbi: «Ufficio open space? No grazie». Ma ancora più interessante è l’avversione al «desk sharing», ancora oggi l’espressione di un modo di lavorare moderno seguito da aziende come Swisscom. Il 50% della generazione Y e ben oltre il 65% della generazione X storcono il naso riguardo al desk sharing.
E cosa succederà dopo la pandemia?
Tuttavia, grazie agli strumenti digitali, per lavorare non bisogna più trovarsi in una postazione di lavoro fissa, già oggi molti di noi possono infatti svolgere il proprio lavoro in qualsiasi momento e ovunque. Questa trasformazione richiede inoltre un aggiornamento di capacità e di approcci, anche nella conduzione dei collaboratori. In un rapporto sulle tendenze nella gestione delle risorse umane, i membri della DGS (Società tedesca per la supervisione e il coaching) hanno indicato come si può affrontare il cambiamento culturale e tecnico sulla strada verso il «new work & lavoro 4.0»:
Quali sono le principali sfide nell’introduzione di strategie di «work at home»?
La pandemia del coronavirus ha indotto una nuova e molto intensa accelerazione del tema del «new work». Le imprese sono state costrette a riorganizzare buona parte del lavoro e a fornire il necessario supporto digitale. Il più delle volte i contenuti si sono concentrati fortemente sull’aspetto dell’«home office» e del «remote work». Ma guardando all’insieme delle imprese, vi sono notevoli differenze nella domanda «Cosa succederà dopo la pandemia?».
Da un lato ci sono le imprese che al più tardi in questo momento stanno trasferendo quanto appreso nella crisi del Covid-19 in nuovi modelli di lavoro pensati per il lungo termine. Dall’altro ci sono poi le aziende che tentano di riportarsi a galla per tornare a una situazione simile a quella pre-crisi. In considerazione del fatto che, secondo vari sondaggi, da due terzi all’80% dei dipendenti (interessati) auspicano, o addirittura si aspettano, almeno in parte, possibilità come l’home office in futuro, sembra opportuno che ogni azienda prenda attentamente in esame la questione dell’organizzazione del lavoro.
Un’evoluzione a tre livelli
I tre fattori trainanti di lungo periodo, combinati all’esigenza di ripensare i sistemi tradizionali di gestione, conduzione e organizzazione, hanno già dato luogo a una serie di esempi interessanti di come le imprese hanno ridisegnato la collaborazione interna ed esterna. Questi possono essere suddivisi a grandi linee in tre settori:
- organizzazione del lavoro e collaborazione,
- direzione, sviluppo del personale e capacità,
- infrastruttura: tecnologie e immobili.
Organizzazione del lavoro e collaborazione
Il crescente ritmo di sviluppo e di trasformazione si è tradotto in strutture e metodi aziendali nuovi, spesso più agili. Ad esempio, i classici processi di innovazione sono stati rimpiazzati da metodi come «design thinking» o «blue ocean». A tal fine sono necessarie non solo nuove competenze metodologiche, ma anche adeguati ambienti di lavoro fisici, come i «collaboration workspace» e impostazioni con caratteristiche riadattate in tutti i livelli gerarchici. La rapida evoluzione della collaborazione in/con diversi team, spesso anche in diverse sedi, necessita di adeguati strumenti tecnici/digitali, ad esempio per consentire di svolgere meeting online.
Direzione, sviluppo del personale e capacità
Con i concetti classici di conduzione degli anni ’80, un’azienda non è più in grado di far fronte ai cambiamenti del mondo del lavoro. La globalizzazione e la digitalizzazione, ma anche le mutate esigenze dei clienti, dei cicli di sviluppo e di produzione molto più rapidi e i vari fattori d’influenza sociale, come ad esempio la sensibilità verso le questioni ambientali, o il desiderio di una finalità e di affiatamento nel lavoro hanno un impatto significativo sul modo in cui dovrà essere organizzato il lavoro in futuro. Ne deriva anche un cambiamento delle competenze, sia per i collaboratori che per i dirigenti. Il «Future Jobs Report» del «World Economic Forum» descrive le 10 competenze principali richieste nel mondo del lavoro nel 2025:
Infrastruttura: tecnologie e immobili
Le tecnologie favoriscono lo sviluppo: lo sappiamo dall’invenzione della ruota. Le nuove tecnologie sono sempre andate a sostituire alcuni lavori e profili professionali e ne hanno creati di nuovi. Prendiamo ad esempio l’uso della RPA (Robotic Process Automation). La RPA snellisce sempre di più il lavoro delle aziende svolgendo le operazioni di routine, il più delle volte eseguite anche in postazioni di lavoro fisse. Questo crea a medio e lungo termine nuove capacità nette per l’azienda, ma a breve e medio termine cambia l’organizzazione e i profili professionali.
I cambiamenti nelle forme di lavoro hanno sempre avuto ripercussioni sulla progettazione e sullo sviluppo di postazioni di lavoro, compresi gli immobili per uffici. Sin dall’inizio del XX secolo sono stati costruiti locali ad uso ufficio con approcci scientifici. Noti come i principi del «taylorismo» (ispirati al metodo dell’ingegnere meccanico Frank Taylor), fanno dell’efficienza l’obiettivo centrale nella progettazione di immobili per uffici. Il risultato: file interminabili di scrivanie che i manager possono osservare bene dagli uffici situati perimetralmente. Il sogno tramutato in realtà di ogni micro-manager.
Negli anni ’60 è avvenuto poi il passaggio ai cosiddetti grandi spazi di uffici, che assomigliavano di più a quello che oggi si chiama «activity based working space». Ma ci sono stati anche dei passi indietro, ad esempio quando negli anni ’80 la redditività è passata in primo piano a scapito delle condizioni di lavoro. Un esempio è quello di Stamford (USA): una grande banca non ha fatto altro che trasformare un campo da tennis al coperto in un trading floor. È facile immaginare quanto ne abbia risentito la concentrazione sul lavoro.
Non si può certo negare che un ufficio esteticamente bello rappresenti ancora oggi per molti manager, specialisti e dirigenti uno status symbol. Sono ormai obsolete anche le giustificazioni come la necessità di conservare documenti confidenziali (ufficio zero carta) o gli obblighi di rappresentanza (si rappresenta anzitutto l’azienda e non solo sé stessi). Molto più importante è invece il fatto che molti di questi uffici fissi sono spesso vuoti. Secondo uno studio della società di consulenza PWC, i responsabili della strategia, i manager della pubblicità e della comunicazione trascorrono in media solo il 25% circa del tempo nella loro postazione di lavoro. Meeting e workshop, visite dei clienti, ma anche, ad esempio, la formazione continua sul posto impongono sempre più spesso nuove esigenze agli immobili commerciali di oggi.
Ecco come descrive Sabine Eckhardt, CEO Central & Eastern Europe della società di consulenza statunitense Jones Lang LaSalle, il cambiamento del mondo del lavoro «The Future of Work»: «All’ufficio, finora luogo di permanenza e di svolgimento di lavori di routine, spetterà in futuro un ruolo completamente diverso. Il ruolo di un luogo che crea soprattutto finalità, affiatamento e identità. Proprio l’identità sembra essere di estrema importanza, anche come polo fortemente contrapposto alla solitudine dell’home office. L’ufficio del futuro sarà un luogo di scambio, di collaborazione, di ispirazione e quindi anche di innovazione.»
Gli spazi di lavoro devono offrire più flessibilità nell’impiego
Un altro aspetto centrale nella progettazione di aree di lavoro è il crescente bisogno di spazi di lavoro flessibili. Oggi la superficie di lavoro deve rispondere contemporaneamente a molte esigenze diverse. Deve fungere anzitutto da spazio di collaborazione, ma deve anche tornare a essere un «deep work space» in cui potersi concentrare al massimo, un meeting point, una sala workshop ecc. Un esempio interessante è quello della sede centrale tedesca del gruppo IT Microsoft nel quartiere di Schwabing a Monaco di Baviera, una sede creata nel 2016 in collaborazione con l’Istituto Fraunhofer. Per poter offrire gli ambienti di lavoro ideali alle varie attività svolte dai collaboratori di Microsoft, sono state create queste aree:
- Converse spaces: aree per una collaborazione che richiede un intenso coordinamento. Si prestano molto bene per organizzare riunioni e meeting di grande intensità, talvolta anche di natura confidenziale, con il supporto delle opportune attrezzature tecniche.
- Accomplish space: per così dire l’erede del posto di lavoro classico, in cui si possono eseguire mansioni piuttosto semplici che non richiedono una concentrazione assoluta.
- Share & discuss space: un luogo pensato per discussioni e conversazioni rilassate e comode.
- Think spaces: qui i collaboratori lavorano con molta concentrazione e attenzione.
A questi vanno aggiunti i cosiddetti social hub, come ad esempio cucinotti con aree lounge, terrazze sul tetto per le pause e spazi verdi per rilassarsi.
Naturalmente, l’esempio di Microsoft è difficilmente applicabile ad altre imprese, in particolare alle PMI svizzere con uno spazio molto limitato. Proprio per questo anche per loro è importante riflettere su come si dovrà lavorare in futuro, sugli spazi che le aziende devono mettere a disposizione e su come accompagnare adeguatamente i collaboratori.
Microsoft ha cessato del tutto di utilizzare le postazioni di lavoro fisse con il concomitante abbandono degli orari e dei luoghi di lavoro fissi. Qui le parole d’ordine sono un orario e un luogo di lavoro basati sulla fiducia, cosa che ha significato notevoli cambiamenti anche nella gestione dei collaboratori. Qui i micro manager e i maniaci del controllo sono nel posto sbagliato: i leader di Microsoft seguono principi di conduzione moderni nell’organizzazione e nell’assegnazione del lavoro, nel controllo e nel raggiungimento degli obiettivi. Da alcuni anni ormai è stato dimostrato ed è generalmente riconosciuto che i metodi di lavoro flessibili incrementano sia la produttività che la capacità innovativa di un’impresa. Uno studio dell’Istituto Fraunhofer (2015) ha concluso che con un orario di lavoro basato sulla fiducia si creano soluzioni e prodotti migliorati fino al 14% rispetto agli orari di lavoro classici.
Non bisogna concentrarsi solo sulle superfici a destinazione ufficio, ma anche su quelle per attività commerciali. Per quanto tempo ancora ci recheremo in un’agenzia di viaggi per richiedere dei consigli per le vacanze? Oppure guardiamo l’esempio delle banche, che da anni riducono il numero di sportelli perché sempre più spesso tutte le operazioni bancarie vengono effettuate online. I consulenti saranno richiesti anche in futuro, ma si pone solo una questione: da dove forniranno consulenza e in che modalità (tecnologica), ma anche in che orari offriranno assistenza ai loro clienti.
Il passaggio dal «vecchio» al «nuovo» mondo del lavoro
In che modo, dunque, le imprese possono combinare le svariate esigenze dei collaboratori e i loro talenti per ottenere il miglior risultato? Ciò che di certo non basterà è offrire qualche saletta «futuristica» per riunioni e/o la possibilità generale di una giornata di home office per tutti, mentre al contempo vengono mantenute altre forme rigide di lavoro. Per un viaggio nel mondo del lavoro del futuro ci vuole indubbiamente lo spazio fisico giusto, ma soprattutto la cultura giusta. Come per le strategie di trasformazione digitale, i concetti aziendali relativi al «future work» non bastano per introdurre sistemi svincolati da competenze di leadership e da caratteristiche culturali per poter gestire con successo il lavoro di domani. Molto calzante è qui un’affermazione dell’economista Peter Drucker, che anche 20 anni dopo non ha perso rilevanza: «Culture eats strategy for breakfast»
E per le aziende immobiliari cosa significa?
Il settore immobiliare svizzero ha alle spalle un superciclo di oltre 20 anni di accelerazione ed è abituato a pensare e pianificare in orizzonti temporali che vanno da anni a decenni. Ecco perché per questo settore la situazione rappresenta una sfida particolare.
Le opinioni sono molto divergenti
Molto diversi sono i pareri su come deve essere l’ufficio 4.0. Su un punto c’è tuttavia un ampio consenso: la suddivisione convenzionale delle scrivanie appartiene ormai al passato. Praticamente ogni mattina i collaboratori decidono dove e con chi lavorare, quale spazio è più indicato e quali sono gli strumenti necessari per farlo. Di conseguenza, i modelli modulari avranno in futuro più logica degli assembramenti rigidi di postazioni di lavoro con un elevato numero di spazi vuoti. Anche le torri di soli uffici senza spazi di ristoro, svago e relax non soddisfano più le esigenze odierne. Un aspetto da non sottovalutare nella progettazione di un ambiente di lavoro odierno sono le infrastrutture complementari per la ristorazione, l’assistenza all’infanzia, gli acquisti o le aree verdi. Come utilizzo misto inserito nello stesso edificio o dislocato in un’opportuna posizione: comunque sia, il connubio tra lavoro e vita privata sta acquistando importanza.
Un altro aspetto che riveste oggi più importanza è il tema dell’«ambiente». Sono sempre più numerose le aziende impegnate in obiettivi di sostenibilità ambientale. Norme edilizie rispettose dell’ambiente o anche concetti di urban gardening per gli uffici nelle città (di grandi dimensioni) non servono solo a rendere credibile l’azienda, ma supportano anche la posizione dell’ampiamente citata «war for talents».
È ancora difficile valutare se e con quale rapidità le imprese immobiliari integreranno questo sviluppo nei loro modelli commerciali. Si può presumere che si cercherà di conservare il modello classico di business che poggia sull’atteggiamento «Affittiamo superfici, il resto non ci riguarda».
Si delineano dei primi approcci
Il settore è ancora inesperto su come trasferire il modello di reddito odierno, che può essere pianificato per molti anni, in nuovi modelli di offerta molto flessibili con cicli di brevi periodi. L’industria immobiliare è all’inizio di un processo (shared economy) in cui è immersa ad esempio l’industria automobilistica già da alcuni anni. Un possibile sviluppo, che si osserva già nei primi approcci, potrebbe portare a modelli e proposte dello stile di «office-space as a service». A stimolarlo potrebbero essere anche le esperienze maturate con i collaboration workspace affermatisi negli ultimi anni. Finora sono state per lo più le imprese stesse o delle iniziative private a stipulare il classico contratto di locazione con una società immobiliare e a creare una «collab» per proprio conto.
In futuro la pressione della concorrenza e la necessità di aumentare l’efficienza potrebbero giocare a favore degli operatori immobiliari che offrono flessibilità e lo spazio esatto di cui un’azienda ha bisogno. Anche considerando la gestione dei rischi, è una scelta sensata per le aziende, se dovesse ad esempio verificarsi un’altra pandemia o una crisi analoga. Le imprese non sarebbero così legate agli elevati costi fissi dell’affitto di immobili, sarebbero quindi finanziariamente più flessibili e avrebbero un maggiore margine nella liquidità.