I programmi di tutela del clima promossi dalla ricerca danno talvolta strani frutti. A dimostrarlo è l’esempio dell’infrastruttura elettrica. Ma il problema va oltre l’approvvigionamento energetico. Norme troppo rigide rischiano di ignorare l’economia e di rafforzare le tendenze a un’economia pianificata.
Conoscete il termine tedesco «Dunkelflaute»? Letteralmente «Depressione oscura», definisce una sorta di scenario da incubo in relazione alla svolta energetica. Con esso si intende un periodo prolungato di assenza di sole e di vento su una vasta area. Ciò significa che né i parchi eolici né gli impianti solari forniscono energia. Se da altre regioni non è possibile fornire sufficiente energia elettrica e/o se le centrali convenzionali non dispongono più di una capacità di riserva sufficiente, ecco che il problema diventa serio. Le famiglie e l’industria avranno ancora bisogno di elettricità, ma non ce ne sarà. La depressione oscura si tradurrà in buio nelle case e in un ristagno per le imprese.
Le giornate di sole e vento sono l’ideale. Vero?
Nella realtà dell’industria energetica, la «Dunkelflaute» e il suo significato presentano una notevole complessità, a partire dalla ricerca di una definizione generalmente accettata, passando per la questione della corretta misurazione, fino alla considerazione di un esaurimento dello stoccaggio e delle perdite di conversione. Tuttavia, sembra intuitivo e ovvio: laddove un sistema di produzione di energia si basa sull’energia eolica e sui raggi solari, una bonaccia prolungata con una contemporanea assenza di luce solare è tutto fuorché ottimale. Le condizioni perfette sarebbero piuttosto un vento costante con il massimo numero possibile di ore di sole. O no?
Uno sguardo alla Grecia solleva qualche dubbio. All’ombra, per così dire, degli obiettivi di «Green Energy» di altri Paesi, spesso ambiziosi e annunciati in pompa magna, la Grecia si è tramutata in una sorta di modello in materia di transizione energetica. Rispetto alla quota di energia rinnovabile sulla domanda totale, la posizione che occupa la Grecia è solo nella media europea (v. grafico). Tuttavia, il Paese ha ottenuto un risultato che solo pochi hanno raggiunto finora: dall’estate scorsa ci sono ripetutamente giorni in cui l’intero (!) fabbisogno di elettricità è coperto totalmente da energie rinnovabili.
Ciò che è positivo in termini di protezione del clima sta diventando sempre più problematico sul versante della stabilità della rete. Infatti, a seguito dell’ingente espansione degli ultimi anni, è sempre più frequente che le turbine eoliche e gli impianti solari producano più elettricità di quanta ne sia necessaria. Ne derivano pericolose instabilità della rete, che nel peggiore dei casi – e qui la depressione oscura coincide con le giornate di sole e vento – portano a un blackout su vasta scala. Per evitare che ciò accada, durante la Pasqua ortodossa (prima settimana di maggio) l’operatore greco IPTO è stato costretto a chiudere tutti gli impianti solari ed eolici per diverse ore. Una decisione che non è ovviamente nell’interesse degli operatori. Atene ha ora in programma delle misure per livellare la domanda di elettricità tra il giorno e la notte. Nel migliore dei casi, ricorrendo a incentivi sui prezzi è possibile ridurre il consumo notturno e aumentare quello diurno.
L’economia deve essere in grado di tenere il passo
Il caso della Grecia esemplifica un problema dell’attuale transizione energetica che va ben oltre l’asincronia tra domanda e offerta. Nel perseguire l’ambizioso obiettivo di rendere l’Europa completamente neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050, i politici cercano di imporre obiettivi che ignorano le realtà effettive. Queste possono essere di natura tecnica, come appunto l’infrastruttura della rete elettrica, che semplicemente non è ancora progettata per un’immissione decentralizzata. Ma le difficoltà sono anche di natura economica, in quanto le imprese e i consumatori si sentono letteralmente travolti e lasciati indietro dal vertiginoso treno della decarbonizzazione. Che si tratti di industria automobilistica, aeronautica, logistica o chimica, il malcontento del settore per le norme restrittive cresce e le lamentele si fanno più forti ed esigenti proprio in vista delle elezioni europee.
E sembra che l’eco si senta sempre di più anche a Bruxelles. Nella sua ultima relazione, la Corte dei conti europea ha stabilito che le ambizioni di tutela del clima non devono in alcun modo minare la sovranità industriale dell’Europa. Per quanto banale possa sembrare, non se ne è mai abbastanza consapevoli. Infatti, una politica di protezione del clima che soffoca l’economia con norme rigide e talvolta irrealistiche, genera soprattutto resistenza ed erode il sostegno alla trasformazione verde.
Evitiamo un dirigismo eccessivo!
Anzi, le disposizioni imposte dai vertici che ignorano le realtà e le esigenze macroeconomiche hanno una connotazione che ricorda l’economia pianificata. Ma la storia è piena di esempi ammonitori di attività economiche pianificate e dirette centralmente da istituzioni statali (o sovranazionali) destinate al fallimento. Dopo tutto, senza il meccanismo della domanda e dell’offerta, senza la libera determinazione dei prezzi e senza la concorrenza tra gli operatori del mercato, mancano le condizioni imprescindibili per un’efficace distribuzione delle risorse. Inefficienze e un’allocazione errata ne sono le conseguenze inevitabili – si veda la disattivazione dell’energia eolica e solare.
Le misure di protezione del clima sono indubbiamente giuste e importanti. Tuttavia, l’UE, in particolare, fa bene a prestare maggiore attenzione alle peculiarità imprenditoriali nell’attuazione del suo «Green Deal» e a mirare a un approccio più favorevole alle attività economiche. Altrimenti, prima o poi le depressioni oscure finiranno per diventare un problema minore.
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