La ripresa tedesca tarda ad arrivare

Il clima ostile dell’economia tedesca si propaga ora anche al mercato del lavoro, rendendo ancora più improbabile l’innescarsi di una rapida ripresa. Non è un buon auspicio per l’Europa e la Svizzera.

L’economia tedesca fa fatica a uscire dalla crisi. Anzi, ancora peggio: la situazione congiunturale del nostro vicino settentrionale continua a deteriorarsi. Una stagnazione generale dell’industria, un persistente calo della fiducia dei consumatori, un pessimismo a tutti gli effetti sulle aspettative future, un caos politico e una situazione decisamente disastrosa dell’industria automobilistica: da qualche tempo è più che difficile trovare uno spiraglio di luce in Germania. C’era quantomeno ancora una cosa a cui aggrapparsi: il mercato del lavoro era stato a lungo risparmiato dalla crisi. Ma anche questo è probabilmente acqua passata.

Prospettive decisamente fosche

Infatti, secondo l’ultimo sondaggio condotto dall’Istituto per l’economia tedesca (Institut der deutschen Wirtschaft, IW) fra più di 2000 aziende, il 38% di esse intende ridurre l’organico. Si tratta di un dato doloroso, ma in fondo non sorprendente. Se si considera che il 40% delle aziende prevede che le prospettive commerciali continueranno a peggiorare, è decisamente più sorprendente che il mercato del lavoro tedesco sia riuscito a sfuggire così a lungo alla cupa situazione economica.

Come se non bastasse, alle cupe prospettive del mercato del lavoro vanno ad aggiungersi al contempo sconcertanti previsioni sugli investimenti. Ad esempio, il 40% delle aziende prevede un calo dell’attività di investimento; solo un quarto circa delle imprese intervistate intende investire di più nel prossimo anno rispetto al 2024.

Risuona l’eco della crisi finanziaria

La crisi ha quindi colpito l’economia tedesca in tutta la sua ampiezza e in tutta la sua durezza. Secondo l’Istituto per l’economia tedesca, bisogna andare di molto a ritroso nei libri di storia per trovare un pessimismo altrettanto profondo. L’ultima volta che l’umore in Germania è stato a un livello così basso è stato durante la crisi finanziaria del 2008. In questo contesto non vi sono segnali di una ripresa imminente e si può presumere che l’economia tedesca non solo subirà una contrazione nell’anno in corso, ma anche che metterà a segno solo una mini-crescita dello 0,5% circa nel 2025.

Nei singoli settori, e in particolare nell’industria, si moltiplicano infatti i segnali che la crisi non sia solo di natura congiunturale, ma presenti anche una componente strutturale di cui vi sono sospetti, ma che resta tuttora spesso sottovalutata. Ciò emerge, tra l’altro, dal confronto tra l’andamento della perdita di posti di lavoro da un lato e quello del lavoro a orario ridotto dall’altro. Quest’ultimo è nettamente indietro rispetto al tasso di riduzione del lavoro – una chiara indicazione che i datori di lavoro non si aspettano un calo a breve termine, ma piuttosto sconvolgimenti a lungo termine.

Tra volere e potere

Burocrazia, norme e regole sempre più stringenti, prezzi dell’energia non competitivi a livello internazionale e una concorrenza cinese nettamente più conveniente che mette a dura prova soprattutto il settore automobilistico: sono questi i fattori che mettono sotto pressione continua una piazza economica come quella tedesca. Agire su queste cause si rivela difficile, se non impossibile. Troppo spesso prevalgono conflitti insormontabili negli obiettivi. La riduzione della regolamentazione è minata da un crescente numero di norme dettate a Bruxelles, la riduzione dei prezzi dell’energia è incompatibile con le ambizioni di protezione del clima e i prezzi sovvenzionati dallo Stato delle auto cinesi non possono essere contrastati senza ridurre il proprio valore aggiunto e perdere ulteriori quote di mercato.

In questo senso, nell’economia tedesca c’è davvero qualcosa di fondamentale che non funziona. E sembra che nessuno al momento sappia come risanarla. In ogni caso, il governo tedesco in carica appare impotente di fronte alla crisi. Le soluzioni adottate finora si sono concentrate principalmente sulla lotta ai sintomi sotto forma di più soldi. Più soldi per sostenere il settore siderurgico, più soldi per ammortizzare i prezzi dell’energia, più soldi per promuovere l’elettromobilità. Gli esponenti del governo tacciono sul fatto che ciò non modificherà i problemi strutturali di fondo. Non è chiaro neanche come verranno finanziate tutte queste misure, né come potranno essere messe a bilancio senza un piano di bilancio permanente.

È invece chiaro che nemmeno l’anno prossimo l’Europa potrà far affidamento su quello che è stato un tempo il suo motore. Ciò non solo smorza le prospettive di crescita e di ripresa dell’Eurozona, ma rappresenta una difficile premessa anche per la Svizzera. La Germania, infatti, non è solo di gran lunga la più grande economia dell’Unione monetaria, ma anche il più importante partner nel commercio al dettaglio della nostra economia esterna. Circa il 15% delle nostre importazioni ed esportazioni è realizzato dal nostro vicino settentrionale. Finché la Germania non riuscirà a invertire la tendenza, l’impatto sul commercio estero svizzero e quindi sull’intera economia elvetica sarà negativo. Neppure una politica monetaria ancora più espansiva della BNS è in grado di cambiare la situazione.

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