La decisione dell’OPEC di ridurre l’estrazione di petrolio di due milioni di barili al giorno è un ulteriore scoglio per la politica e l’economia. Al contempo, il cartello sta esacerbando le pressioni inflazionistiche persistentemente elevate e aumentando i già considerevoli rischi di recessione.
Quello di mercoledì a Vienna è stato un vero e proprio schiaffo in faccia a tutti. I Paesi dell’OPEC e la Russia hanno deciso di tagliare la produzione di petrolio di due milioni di barili, sottraendo al mercato petrolifero fisico fino al 2% della domanda totale. Così facendo, da un lato il cartello dimostra unità e, dall’altro, sconfessa numerosi esponenti della politica e dell’economia.
Molti i perdenti
La decisione OPEC è dunque uno schiaffo alle banche centrali che, nel contrasto a un’inflazione dilagante, azionano sempre di più le leve sui tassi d’interesse. In ultima analisi, il cartello svela loro una certa impotenza: con gli aumenti aggressivi dei tassi d’interesse si può certamente porre un freno ai fattori inflazionistici sul lato della domanda. Ma anche le banche centrali sono praticamente impotenti di fronte agli shock sui prezzi sul lato dell’offerta, risultanti da una scarsità artificiale dell’offerta o da altri eventi esterni al mercato. È, in particolare, il caso della BCE, dal momento che l’inflazione galoppante nell’Eurozona (a differenza degli Stati Uniti) non è dovuta a effetti di secondo impatto.
È uno schiaffo a quei governi che cercano di ridurre la perdita di potere d’acquisto dei consumatori con ingenti pacchetti fiscali. Se impongono un tetto non solo ai prezzi del gas e dell’elettricità, ma anche a quelli della benzina e del petrolio, ecco che le casse pubbliche saranno messe a dura prova, essendo probabile un incremento della differenza tra prezzi al consumo ritenuti ragionevoli e i prezzi di mercato. Per evitare che il limite di prezzo del petrolio russo fissato dai Paesi del G7 sia vano, la Russia dovrebbe avere il minor numero possibile di alternative all’esportazione. Tuttavia, l’attuale scarsità dell’offerta accresce la probabilità che, per garantire l’approvvigionamento, grandi acquirenti come la Cina o l’India paghino un prezzo di mercato più elevato, consentendo così alla Russia di mantenere le vendite di petrolio al livello di prezzo a cui mira.
È uno schiaffo alla politica internazionale che tenta di isolare maggiormente la Russia e di ridurne il peso nell’economia globale. È doloroso soprattutto per Joe Biden. Con l’avvicinarsi delle elezioni di metà mandato di novembre, per il presidente statunitense un rincaro dei prezzi del carburante arriva in un momento assolutamente inopportuno. In una nazione come gli Stati Uniti, infatti, in cui le automobili la fanno da padrone, la fiducia dei consumatori – e quindi probabilmente anche la soddisfazione degli elettori – è strettamente legata al prezzo da sborsare dal benzinaio. Non solo: i repubblicani sapranno sfruttare politicamente il fatto che la visita di luglio di Biden nel principale Paese dell’OPEC, l’Arabia Saudita, sia stata evidentemente fatica sprecata.
È uno schiaffo a tutti gli altri capi di Stato che sono andati in processione a Riad. Fra di essi, per fare un esempio, Emmanuel Macron e Olaf Scholz, che in Arabia Saudita hanno cercato di indurre l’OPEC ad espandere la produzione. La mossa ha sortito l’effetto contrario: il cartello ha anzitutto avuto il coraggio di invitare a Vienna il ministro russo dell’Energia Alexander Nowak, che è entrato in Europa a dispetto di tutte le sanzioni. E in più, nel tentativo di sottrarsi al regime sanzionatorio dell’Occidente, l’OPEC fornisce un importante sostegno alla vituperata Russia.
Una Russia che combatte su vari fronti
Con tutti questi ceffoni, è difficile mantenere una visione generale. C’è però una cosa che la decisione dell’OPEC dimostra molto chiaramente: il petrolio rimane il lubrificante dell’economia globale. Chi ne ha in mano il controllo (o chi ne controlla i prezzi) possiede ancora oggi, anche nell’era della tanto citata svolta energetica, una leva molto efficace nel sistema internazionale. Lo si constata particolarmente in un contesto in cui la lotta all’inflazione è diventata la massima priorità dei governi e delle banche centrali.
Vladimir Putin l’ha capito. Ecco perché la riduzione delle estrazioni non è che un’ulteriore conferma che quella russa è ormai da molto tempo una campagna condotta non solo sul piano militare, ma anche su quello prettamente economico. Con l’OPEC, Mosca ha un potente alleato al suo fianco. Ciò significa un ulteriore peggioramento della di per sé già cupa situazione economica mondiale.