La Cina continua a fare i conti con persistenti problemi economici interni. Probabilmente sono più seri di quanto ufficialmente riconosciuto. Sul mercato mondiale, tuttavia, la concorrenza cinese resta forte e mette sotto notevole pressione le industrie consolidate.
L’economia cinese è in crisi. In particolare, la crisi immobiliare, che si protrae ormai da cinque anni, si è tramutata in un peso permanente per la congiuntura della seconda economia mondiale. I problemi irrisolti di sovraccapacità del settore immobiliare cinese deprimono l’umore e l’appetito dei consumatori nazionali per gli acquisti. Le severe restrizioni sono infatti per i cinesi uno scoglio per poter investire i loro risparmi sui mercati finanziari internazionali, ed ecco che spesso, per mancanza di alternative, investono in gran parte in immobili cinesi. Regna di conseguenza una grande incertezza al cospetto del persistente crollo dei prezzi, che si riflette in una notevole reticenza a spendere. Il Regno di Mezzo è dunque ben lungi dall’auspicato modello economico trainato dall’economia interna.
Ufficialmente un atterraggio di precisione consueto
A dispetto di questi problemi di fondo, l’economia cinese è sulla buona strada. Almeno se si vuole credere a quanto ufficialmente dichiarato. L’Ufficio nazionale di statistica ha infatti comunicato che lo scorso anno il prodotto interno lordo è cresciuto del 5%. Significherebbe, per l’ennesima volta, un atterraggio di estrema precisione. Perché la scorsa primavera Pechino aveva dichiarato che la crescita del 2024 sarebbe stata di «circa il 5%». Bersaglio centrato.
Tuttavia, è lecito chiedersi se la crescita riportata rifletta l’effettivo stato dell’economia cinese. Infatti, da un lato gli obiettivi economici in Cina sono fondamentalmente di natura politica come in nessun altro Paese. I requisiti sono fissati da Pechino e dai governi regionali dello Stato monopartitico e ad essi devono attenersi le metropoli e le province. Nessuno intende attirare l’attenzione dei dirigenti del partito con un «Requisiti non rispettati!».
Il mercato del lavoro parla un’altra lingua
È pur vero che in dicembre il tasso di disoccupazione complessivo si è attestato al 5,1%. Ma uno sguardo alla disoccupazione giovanile non promette nulla di buono. Certo, l’ultimo mese dello scorso anno il tasso è sceso dal 17,6% al 15,7%. Il calo è dovuto però principalmente a fattori stagionali. Infatti, storicamente, la disoccupazione nella fascia tra i 16 e i 24 anni raggiunge il picco nel terzo trimestre, periodo in cui si affacciano sul mercato del lavoro i neolaureati. Più eloquente è dunque il raffronto con l’anno precedente. Il confronto evidenzia che la disoccupazione giovanile è aumentata di 0,8 punti percentuali, raggiungendo ben il 15,7%.
Oltre alla disoccupazione giovanile, anche altri dati sul mercato del lavoro suggeriscono un certo scetticismo. Ad esempio, in ottobre (ultimi dati disponibili) è aumentato drasticamente il numero di «lavoratori semi-autonomi» nei servizi di taxi e di consegna di cibo. Su base annua, l’aumento del numero di ciclofattorini assunti tramite le app di ride-sharing è stato di ben il 26%. Ciò indica che sempre più persone lasciano il loro vero lavoro e cercano di guadagnarsi da vivere con i servizi di taxi.
L’alta tecnologia cinese è in forte espansione…
In questo contesto è difficile ipotizzare un’accelerazione della crescita trainata dal mercato interno nel quarto trimestre. Ciò è in linea anche con i dati dell’Ufficio statistico cinese. Suddivisa per settore, infatti, la crescita ufficiale della dinamica è stata attribuita soprattutto all’alta tecnologia (+8,9%), all’industria meccanica (+7,7%) e all’industria manifatturiera (+6,1%) nonché all’approvvigionamento energetico e idrico (+5,3%).
In un’ottica internazionale, la crescita del valore aggiunto nel settore dell’alta tecnologia è osservata con un misto di interesse, preoccupazione e crescente ansia. Infatti, l’esportazione cinese di tecnologia delle batterie, veicoli elettrici e tecnologie energetiche alternative, che si espande in ambiti sempre nuovi, mette in seria difficoltà interi settori al di fuori della Cina.
…e causa disagio altrove
Prima di tutto, la crescente concorrenza cinese mette in apprensione un’economia tedesca già martoriata. Perché l’industria della più grande economia europea sta facendo fronte non solo a problemi interni, come dei prezzi dell’energia eccessivamente alti e non competitivi e un onere burocratico opprimente. Allo stesso tempo, è inondata da veicoli elettrici e tecnologie energetiche cinesi che usufruiscono di ingenti sovvenzioni e, non da ultimo, anche per questo estremamente convenienti. Nel giro di pochi anni, questi veicoli e queste tecnologie hanno spinto sull’orlo del baratro un comparto chiave tedesco un tempo orgoglioso.
Il declino dell’ex industria di punta si accelererà, se non prima, al sopraggiungere della fine dei motori a combustione prevista (per il momento) per il 2035. Tuttavia, è probabile che la tendenza al calo acquisisca ulteriore slancio se il nuovo governo statunitense imporrà ulteriori dazi sulle esportazioni cinesi. Per la Cina, il mercato europeo diventerà allora ancora più allettante di quanto non lo sia già oggi.
Sì, l’economia cinese è in crisi. L’era dei tassi di crescita a due cifre appartiene ormai al passato. Ma la trasformazione da banco di lavoro internazionale a basso costo per prodotti poco complessi a produttore di alta tecnologia rende la concorrenza cinese più minacciosa che mai per molte industrie oltre i confini cinesi. Il drago potrebbe avere le ali tarpate. Ma resta sempre possente.
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