Prospettive d’investimento febbraio 2025

Attenzione, dazi!

Editoriale

Mare in burrasca

La nostra valutazione

Il problema non sono solo i dazi

Banche centrali

Fed più prudente

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Mercato dei capitali

Segnali di preoccupazione dai tassi d’interesse statunitensi

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Azioni

Che cosa succederà con l’IA?

Investimenti alternativi

L’oro luccica

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Il nostro posizionamento

Aumenta l’incertezza

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Tema centrale

Nestlé deludente

Le nostre previsioni

In balia dei dazi

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Editoriale

Mare in burrasca

Gentili investitrici e investitori,

molti operatori di mercato si aspettavano un avvio d’anno diverso. Fin dai primi giorni, però, l’emergere di dubbi su due pilastri centrali per l’andamento dei mercati azionari ha innescato un’ondata di incertezza: da un lato, la crescita dell’economia statunitense prosegue sotto la spinta dell’amministrazione Trump, dall’altro, la progressiva redditività dell’intelligenza artificiale (IA) rende più sostenibili le valutazioni elevate. Ma procediamo con ordine.

Verso fine gennaio, la piccola start up cinese di IA DeepSeek ha scioccato il mondo tecnologico con un modello di IA in grado di offrire risultati simili a quelli delle soluzioni consolidate dei fornitori statunitensi, ma sviluppato a costi decisamente inferiori. Di conseguenza, sui mercati sono riaffiorati dubbi sulla necessità dell’imponente ondata di investimenti dei giganti tecnologici statunitensi nel potenziamento dell’infrastruttura per l’intelligenza artificiale. Gli ingenti investimenti in potenza di calcolo, approvvigionamento energetico e infrastrutture cloud saranno davvero vantaggiosi in futuro, se i costi sembrano poter essere di gran lunga inferiori?

Non appena la tensione sembrava essersi placata, il nuovo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in carica dal 20 gennaio, ha scioccato i mercati annunciando l’improvvisa imposizione di elevati dazi sulle importazioni di prodotti provenienti da Messico, Canada e Cina, per poi sospenderli parzialmente solo alcune ore dopo, seppur in via temporanea. Anche in questo caso la maggior parte degli operatori di mercato si era immaginata scenari diversi. A suscitare particolare irritazione è soprattutto l’ordine con cui l’amministrazione Trump sta affrontando i principali punti in agenda. A Wall Street ci si aspettava che gli aspetti favorevoli alle imprese di «Trumpenomics 2.0», quali la deregolamentazione e gli stimoli di politica fiscale, sarebbero stati attuati per primi, e che solo in un secondo momento ci si sarebbe concentrati sulla politica doganale potenzialmente spinosa per l’andamento economico sia globale che americano.

Ciò che resta è un elevato grado di incertezza e numerose domande senza risposta, di notevole rilevanza per l’evoluzione futura dei mercati azionari: le valutazioni elevate delle aziende che gravitano attorno all’IA sono davvero giustificate? Alla luce della questione della redditività, l’alta concentrazione delle Big Tech nel mercato azionario statunitense diventerà prima o poi un rischio imminente per il mercato globale? In quale dei ruoli, da lui stesso dichiarati, si calerà Donald Trump nel suo secondo mandato? Si dimostrerà il grande negoziatore e affarista che utilizza i dazi principalmente come strumento di pressione politica e oggetto di contrattazione? Oppure stiamo assistendo ai primi tiri mancini del «Tariff Man», che considera l’imposizione a tappeto di dazi elevati uno strumento sensato dal punto di vista politico-economico? Dobbiamo prepararci a una guerra commerciale globale o prevarrà un regime doganale moderato?

Rimaniamo come sempre ottimisti, ma anche vigili. Sia per quanto riguarda i dazi che gli sviluppi nel settore dell’IA. L’incertezza e quindi la volatilità sui mercati resteranno elevate nelle prossime settimane. In caso di mare in burrasca, è consigliabile non allontanarsi dal proprio porto sicuro. Rimaniamo pertanto fedeli alla sovraponderazione sul mercato azionario svizzero difensivo e di alta qualità.

Cordiali saluti

Michael Birrer
Responsabile Research & Advisory


La nostra valutazione

Il problema non sono solo i dazi

In carica da circa un mese come 47º Presidente degli Stati Uniti, il repubblicano si è impegnato a mettere in pratica quanto annunciato durante la sua campagna elettorale, incluso l’innalzamento delle barriere doganali. Dazi generali sulle importazioni di acciaio e alluminio e dazi aggiuntivi nei confronti di Colombia, Messico, Canada o Cina: il Presidente degli Stati Uniti non ha perso tempo.

Anche se Trump ha sospeso per un mese i dazi del 25% sulle importazioni messicane e canadesi, il resto del mondo dovrebbe guardarsi dal reiterare errori ormai risaputi nei rapporti con Trump e la sua amministrazione.

Il «principio speranza» non funziona

In primo luogo, come abbiamo già sottolineato nella scorsa pubblicazione, non si può presumere che Trump non dia seguito alle sue minacce doganali solo perché ciò potrebbe trasformarsi in un boomerang contro l’economia del suo Paese. Questa opinione è sorprendentemente diffusa, anche se ricorda l’atteggiamento di chi cerca in tutti modi di farsi coraggio. È vero che, a lungo termine, un regime doganale globale potrebbe senz’altro frenare la crescita economica americana. Questo scenario si concretizzerebbe se i dazi venissero aumentati progressivamente nel corso degli anni, portando a un incremento dell’inflazione non solo temporaneo. Ma anche in questo caso, gli Stati Uniti continuerebbero probabilmente a registrare tassi di crescita che l’eurozona può solo sognare.

Oltretutto è altamente discutibile che i dazi punitivi possano avere un impatto negativo per gli Stati Uniti. Infatti, il confronto spesso utilizzato con gli anni ’30, quando i dazi statunitensi imposti con lo «Smoot-Hawley Tariff Act» su 20 000 prodotti d’importazione pregiudicarono consumi e industria, regge solo in parte. All’epoca gli Stati Uniti esportavano più di quanto consumassero e importassero, mentre oggi la bilancia commerciale americana è negativa da anni. La produzione interna non dipende in misura rilevante dalla domanda estera ed è quindi in grado di assorbire adeguatamente la domanda interna. Unitamente alla politica fiscale di Trump, alla deregolamentazione e all’attesa delocalizzazione globale della produzione negli Stati Uniti, i dazi non dovrebbero frenare l’economia statunitense, ma anzi accelerarne la crescita.

OMC impotente

In secondo luogo, l’Europa deve finalmente imparare ad accettare la realtà senza ignorarla o edulcorarla. E la realtà è che Donald Trump e la sua politica commerciale non sono una tempesta passeggera. Tra quattro anni il contesto globale non sarà improvvisamente più roseo e lo spudorato protezionismo non è un problema nato con Trump. D’altronde l’OMC, in veste di custode del libero scambio, da circa 30 anni non riesce più a compiere progressi significativi nella riduzione delle barriere commerciali. Il fallimento definitivo del Ciclo di Doha nel 2008, dopo sette anni di negoziati, ha gettato l’OMC in una crisi identitaria dalla quale non si è ancora ripresa finora. Davanti all’attuale gioco di forza doganale degli Stati Uniti, questa è ormai ridotta al ruolo di spettatrice ininfluente.

E lo sarà anche dopo il 2029. Riteniamo infondata la speranza che, dopo il mandato di Trump, il commercio mondiale torni a una modalità regolamentata dall’OMC. Infatti, l’allontanamento americano dalle regole dell’OMC (e del GATT) è iniziato precedentemente alla prima presidenza di Trump. L’adesione all’OMC di un Paese in rapida crescita come la Cina nel 2001 ha progressivamente ridimensionato il peso degli Stati Uniti all’interno dell’organizzazione, portando Washington a considerarne restrittivo il quadro normativo. Il culmine si è raggiunto nel 2007, quando l’allora Presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha iniziato a bloccare la nomina dei nuovi giudici alla corte d’appello dell’OMC, blocchi poi mantenuti anche da Barack Obama e dai presidenti successivi.

Di conseguenza, ormai da sei anni a questa parte l’organo d’appello dell’OMC è paralizzato poiché non dispone più del numero minimo di giudici necessario per operare. Dazi e controdazi: i dazi all’importazione violano già da tempo le regole dell’OMC in tutto il mondo. Ma non vi è possibilità di far accertare la violazione delle regole, figuriamoci di sanzionarla. L’OMC, che da tempo ha perso il suo graffio, è ormai diventata una tigre di carta.

Senza Trump non sarà tutto migliore

Vale a dire che il contesto commerciale internazionale rimarrà difficile anche dopo Donald Trump. Magari il tono tornerà a essere più conciliante, ma come tra compagni di scuola, lo spiacevole principio del «diritto del più forte» rimarrà sicuramente un dato di fatto.

A maggior ragione l’Europa dovrebbe svegliarsi dalla sua immaturità e fare i compiti a casa sul piano economico-strutturale, di gestione del bilancio e di politica di sicurezza. Non ha senso costruire castelli in aria su transizione energetica, migrazione e debito pubblico per un futuro lontano, se nel presente non si è nemmeno in grado di competere sul mercato globale.

Siamo scettici sul fatto che l’Europa affronterà presto la realtà con spirito autocritico. È molto più comodo dare la colpa a un presidente americano, senza dubbio discutibile, e alle sue politiche. Dagli obiettivi climatici non raggiunti e i problemi di approvvigionamento energetico, ai settori non più competitivi: è più facile puntare il dito contro la Casa Bianca che guardarsi allo specchio. Ma questo approccio non porta a un vero cambiamento positivo. Soprattutto se gli Stati Uniti imporranno dazi sui prodotti europei. Per l’economia del continente, prevediamo quindi un persistere del rallentamento congiunturale, con rischi di ribasso sensibilmente aumentati.

La situazione rimane sfavorevole

Anche la Svizzera non sarà immune da questo cupo scenario economico. Lo vediamo soprattutto nel settore industriale, dove la situazione è sempre più buia. Con il protrarsi della crisi in Germania, la domanda del nostro vicino a nord si sta riducendo come neve al sole. Non c’è da stupirsi che il numero di aziende interessate dal lavoro ridotto nell’industria meccanica, elettrica e metallurgica sia salito al livello più alto degli ultimi dieci anni.

Di conseguenza, né l’industria manifatturiera né il commercio estero offriranno impulsi positivi all’economia svizzera. La crescita rimane nettamente al di sotto del potenziale e, in caso di dazi statunitensi, dovrà affrontare venti contrari ancora più forti. Sarebbe poi sorprendente se la Svizzera venisse risparmiata dai dazi punitivi. Dopotutto registra una netta eccedenza delle esportazioni nei confronti degli Stati Uniti, il che, stando a Trump, è la chiara espressione di un rapporto commerciale «sleale».

Santosh Brivio
Senior Economist


Banche centrali

Fed più prudente

La Fed si prende una lunga pausa

Come previsto, la Fed non ha ridotto i tassi d’interesse nella riunione di gennaio, indicando un orientamento più cauto per l’anno in corso. Il presidente della Fed, Jerome Powell, non si lascia mettere sotto pressione dal presidente Trump che chiede tassi d’interesse più bassi. L’effetto inflazionistico della politica di Trump e la solidità della congiuntura statunitense spingono la Fed alla prudenza. Riteniamo quindi che questa attenderà anzitutto gli effetti dei primi mesi del nuovo governo statunitense e che procederà a un’ulteriore riduzione dei tassi non prima dell’estate. Dal momento che la congiuntura statunitense resiste a questo livello elevato dei tassi di riferimento e che le pressioni inflazionistiche rimangono alte, prevediamo solo un potenziale di riduzione molto limitato fino al 2026 inoltrato.

Nessuna pausa in vista per la BCE

A gennaio, invece, la BCE ha proseguito con nuovi tagli dei tassi d’interesse. La banca centrale è fiduciosa che quest’anno l’inflazione si stabilizzerà attorno all’obiettivo prefissato: il recente aumento del tasso di inflazione è dovuto all’effetto base dei prezzi dell’energia e un indicatore lungimirante dell’andamento salariale di nuova concezione segnala una flessione degli aumenti salariali. Anche per la prossima riunione del 6 marzo prevediamo una riduzione dei tassi di 25 punti base. Tuttavia, a causa della debolezza economica e dell’elevato indebitamento di alcuni importanti Stati membri, Francoforte non può per il momento rinunciare a ulteriori misure di allentamento. Ci attendiamo pertanto una riduzione del ritmo nel corso dell’anno e prevediamo un totale di tre fasi di allentamento di 25 punti base ciascuna entro la fine del 2025. Solo in caso di gravi controversie commerciali la BCE potrebbe essere costretta a riconsiderare il ritorno a una politica monetaria più espansiva.

La BNS resta a guardare

Per il momento la BNS resta a guardare e prepara la prossima mossa per la fine di marzo. La BNS è tornata alla sua consueta strategia di comunicazione e non rende note le sue intenzioni. Sta di fatto che il franco forte e il basso tasso d’inflazione sono una spina nel fianco per la BNS, quindi una riduzione dei tassi d’interesse è molto probabile. Nel nostro scenario di base, ci aspettiamo una riduzione dei tassi di 0,25 punti percentuali, ma non escludiamo un intervento più deciso con un taglio di 50 punti base. Se le autorità monetarie dovessero intervenire pesantemente per la seconda volta consecutiva, il tasso di riferimento sarebbe pari allo 0% già in primavera. Riteniamo tuttora improbabile un ritorno agli interessi negativi.

Valentino Guggia
Economist


Mercato dei capitali

Segnali di preoccupazione dai tassi d’interesse statunitensi

USA: il concetto «higher for longer» resta attuale

I tassi d’interesse sui titoli di Stato a dieci anni (Treasury) sono aumentati rapidamente di quasi un punto percentuale nell’ultimo trimestre, prima di subire una leggera correzione nelle ultime settimane. Con circa il 4,5%, i rendimenti dei Treasury si attestano attualmente sui livelli registrati per l’ultima volta nella primavera di un anno fa, quando il tasso di riferimento statunitense aveva raggiunto il massimo storico del 5,25 – 5,50%. L’andamento del mercato dei capitali si è quindi dissociato da quello del tasso di riferimento. Ora il mercato sta scontando una linea molto più cauta e realistica da parte della Fed e mette in guardia dall’incertezza sul debito legata alle politiche di Trump. Infatti, sempre più investitori si chiedono se anche l’economia dominante possa indebitarsi impunemente in questa misura. Anche la politica commerciale di Trump, con il suo effetto inflazionistico, alimenta il rialzo dei prezzi e allontana di molto l’obiettivo d’inflazione del 2% fissato dalla Fed. Pertanto, ci attendiamo un persistente «higher for longer».

Lo strumento della BCE riduce i premi di rischio

Nell’eurozona, invece, i premi di rischio rimangono contenuti, nonostante la mancanza di disciplina fiscale in alcuni Paesi. Il motivo di queste oscillazioni limitate è una garanzia implicita della BCE che, tramite il Transmission Protection Instrument (TPI), può acquistare illimitatamente titoli di Stato per impedire un aumento eccessivo dei rendimenti. Nei prossimi mesi prevediamo pertanto un andamento laterale, poiché i rischi politici e congiunturali non svaniranno in breve tempo.

Svizzera: «lower for longer»

A differenza dell’eurozona e degli Stati Uniti, la situazione sul mercato dei capitali nel nostro Paese rimane tranquilla grazie alla solidità delle finanze pubbliche e al limitato margine di sorpresa della BNS. Sulla scia dell’andamento globale, i tassi sul mercato dei capitali sono leggermente aumentati nelle scorse settimane, mantenendosi però complessivamente a un livello così basso che in termini reali è difficile conseguire un rendimento positivo. Finché persisteranno soprattutto le incertezze in Europa, i titoli di Stato della Confederazione rimarranno richiesti come porto sicuro e i rendimenti delle obbligazioni decennali della Confederazione sotto pressione.

Valentino Guggia
Economist


Azioni

Che cosa succederà con l’IA?

I modelli cinesi sembrano avere prestazioni simili a quelle dei principali LLM statunitensi, ma, stando a quanto dichiarato dalle aziende stesse, sono stati sviluppati a un costo decisamente inferiore. Questa straordinaria prestazione è il frutto di un’ottimizzazione architetturale avanzata, che include l’uso di Mixture-of-Experts e di schemi di comunicazione personalizzati tra chip. Un progresso tecnologico a riprova del fatto che lo sviluppo dell’IA può avvenire con una maggiore efficienza in termini di costi, alimentando le aspettative per ulteriori progressi in questa direzione.

Tuttavia, è improbabile che ciò comporti un immediato rallentamento degli investimenti nell’IA, poiché la corsa all’intelligenza artificiale generale (AGI) è in pieno svolgimento. Meta ha recentemente annunciato un aumento del 50% degli investimenti in progetti di IA entro il 2025, mentre il «Project Stargate» di OpenAI, Oracle e Softbank, presentato al World Economic Forum, dovrebbe attirare investimenti fino a 500 miliardi di dollari nello sviluppo dell’IA.

Inoltre, l’episodio di DeepSeek fa anche pensare che gli ingegneri dell’IA cinesi abbiano trovato un modo per aggirare le restrizioni statunitensi alle esportazioni sulla tecnologia avanzata dei semiconduttori. DeepSeek afferma di aver utilizzato per l’addestramento i chip H800 di Nvidia, una versione meno performante rispetto al modello di alta gamma H100, appositamente realizzata per il mercato cinese. Tuttavia, non è chiaro se si tratti di chip H100 acquistati prima delle restrizioni o se l’azienda abbia noleggiato altri chip di fascia alta da data center nel Sud-est asiatico. In tale contesto appare probabile un ulteriore inasprimento delle restrizioni alle esportazioni da parte degli Stati Uniti.

I colossi tecnologici statunitensi, grazie alle loro ingenti riserve di liquidità, sono riusciti a investire massicciamente e con largo anticipo nello sviluppo dell’IA, distaccando la concorrenza e consolidando il proprio vantaggio competitivo. Questa evoluzione ha determinato una notevole concentrazione di mercato con valutazioni che hanno in parte raggiunto livelli storicamente elevati. Tuttavia il caso di DeepSeek ci ricorda che persino i giganti del settore, come i Magnifici 7, potrebbero non essere del tutto al riparo dalle pressioni concorrenziali.

Nel complesso, il settore tecnologico statunitense potrebbe dover affrontare in futuro una maggiore concorrenza tecnologica. E, con l’aumento delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, rischia di trovarsi in parte tra due fuochi. Ciò non modifica significativamente le opportunità d’investimento, ma depone senz’altro a favore di una buona diversificazione del portafoglio azionario.     

Andrej Franz
Specialista in investimenti


Investimenti alternativi

L’oro luccica

Gli operatori di mercato e gli analisti hanno reagito per lo più con stupore. Ciò è dovuto alla convinzione comune nel settore degli investimenti secondo cui il prezzo dell’oro dovrebbe svilupparsi in direzione opposta ai tassi reali statunitensi a 10 anni. In caso di rialzo dei tassi d’interesse reali, si ritiene che detenere oro diventi meno interessante, in quanto, a differenza degli investimenti fruttiferi, non genera rendimento. Negli ultimi due anni e mezzo, i tassi reali a 10 anni negli Stati Uniti hanno raggiunto il livello più alto da oltre 15 anni. Di conseguenza, ha sorpreso molto che il prezzo dell’oro si sia dissociato, registrando una performance così dinamica per i suoi standard.

Fedeli alla loro convinzione, negli ultimi anni gli investitori istituzionali occidentali hanno puntato prevalentemente sulla vendita. Il barometro della domanda del metallo prezioso da parte degli investitori istituzionali è rappresentato dalle variazioni dell’oro detenuto in ETF garantiti da oro fisico. Negli ultimi quattro anni, questi strumenti hanno registrato deflussi netti pari a un totale cumulato del 25% delle loro partecipazioni complessive.

La forte impennata della domanda è giunta dalle banche centrali. Mentre nei 20 anni precedenti la crisi finanziaria del 2008/2009 le banche centrali hanno sempre figurato sul mercato come venditore netto, la situazione è via via cambiata con le crescenti preoccupazioni per il sistema finanziario globale. Complessivamente, negli ultimi 15 anni le riserve auree delle banche centrali sono aumentate di circa 7000-8000 tonnellate. Tra il 2022 e il 2024 le banche centrali hanno accumulato oltre 3000 tonnellate.

Il motivo principale del forte aumento della domanda è stata la decisione dei governi occidentali di congelare i valori patrimoniali della Banca centrale russa detenuti in Occidente. A ciò si aggiunge l’ipotesi – non ancora del tutto esclusa – di una confisca vera e propria. Anche il rifiuto del governo britannico di restituire al Venezuela le sue riserve auree depositate a Londra ha suscitato scalpore.

Per proteggersi dalle conseguenze di un possibile uso dell’architettura finanziaria globale come «arma politica» da parte dei governi occidentali, molte banche centrali di Paesi non occidentali, tra cui Cina, India, Turchia e Arabia Saudita, hanno aumentato significativamente le loro riserve auree. Ma tra gli acquirenti vi sono anche Paesi tradizionalmente pro-occidentali come Polonia, Singapore e Messico. Inoltre, va delineandosi la tendenza a «riportare a casa» le riserve auree depositate all’estero.

Considerate le crescenti tensioni tra Stati Uniti, Cina e altri Paesi, è improbabile che la situazione cambi nel prossimo futuro. Per il prezzo dell’oro questo si traduce in un sostegno stabilmente forte, nonostante i tassi reali ancora relativamente elevati.

Andrej Franz
Specialista in investimenti

 


Il nostro posizionamento

Aumenta l’incertezza

Azioni

leggera sovraponderazione

Il contesto congiunturale nonché le previste misure di deregolamentazione e le agevolazioni fiscali dell’amministrazione Trump continuano a fornire un supporto favorevole alle azioni statunitensi nel breve termine. Soprattutto per i titoli alimentati dall’ondata dell’intelligenza artificiale occorre realizzare la crescita degli utili scontata nei corsi.

Le azioni europee rimangono più convenienti ma, d’altro canto, la situazione congiunturale è molto più difficile che negli Stati Uniti. L’incertezza legata a nuovi e dolorosi dazi punitivi da parte degli USA amplifica ulteriormente il vento contrario già causato dalla crescita economica stagnante. Alla luce di queste considerazioni, non riteniamo che ci siano (ancora) le condizioni per aspettarsi sorprese positive significative. Per questo motivo, continuiamo a considerare le azioni statunitensi più attraenti rispetto a quelle europee.

Obbligazioni

leggera sottoponderazione

L’ambiente di tassi di interesse estremamente bassi in Svizzera persiste per il momento, rendendo difficile trovare rendimenti soddisfacenti nel segmento investment-grade. La quota viene ulteriormente ridotta. All’estero, l’andamento dei tassi sul mercato dei capitali si è in parte dissociato da quello dei tassi di riferimento, pertanto gli investimenti in valuta estera possono continuare a essere interessanti.

Investimenti alternativi

leggera sovraponderazione

Non si intravede un’inversione di tendenza per quanto riguarda i prezzi in rialzo degli immobili residenziali in Svizzera. Inoltre, il calo dei tassi di interesse incide maggiormente sui costi di finanziamento piuttosto che sugli affitti. Di conseguenza, anche il contesto per gli immobili a reddito rimane in linea di massima favorevole, giustificando il mantenimento di una leggera sovraponderazione degli investimenti immobiliari svizzeri. Nei confronti degli immobili esteri continuiamo invece a essere prudenti, anche se in ragione del mutato contesto dei tassi d’interesse aumentiamo leggermente la relativa allocazione al di sopra della quota neutra.

I fondi risultanti dalla riduzione della quota obbligazionaria in CHF verranno impiegati nel nuovo settore del private equity.

Valentino Guggia
Economist


Tema centrale

Nestlé deludente

Insieme a Roche e Novartis, Nestlé è un titolo molto popolare nei depositi svizzeri. Negli ultimi anni Nestlé ha ripetutamente disatteso le proprie aspettative e quelle del mercato. Per gli investitori si pone ora la questione se Nestlé riuscirà a invertire la rotta quest’anno.

Aumento dei prezzi

Negli ultimi anni, l’impennata dei prezzi delle materie prime e dell’energia ha messo Nestlé particolarmente in difficoltà. In quanto fornitore di prodotti di alta qualità, l’azienda ha risentito dell’aumento dei costi e del conseguente calo dei margini di profitto. Da un lato, la domanda si è spostata dai prodotti alimentari di alta qualità a offerte scontate più convenienti; dall’altro, Nestlé non è riuscita a trasferire integralmente l’aumento dei prezzi ai consumatori.

Un cambiamento nei consumi

I prodotti pronti all’uso sono una componente importante della gamma Nestlé, ma non corrispondono più allo spirito contemporaneo. I consumatori vogliono alimenti più sani e freschi. Inoltre, i prodotti convenience sono proprio quelli più frequentemente scontati nei supermercati. Questo portafoglio di prodotti sorpassato ha portato Nestlé a perdere quote di mercato in alcuni dei suoi segmenti chiave.

Business dell’acqua in crisi

Il business dell’acqua in bottiglia di Nestlé è costantemente oggetto di critiche, sia dal punto di vista ambientale che normativo. Il gruppo ha dovuto ammettere di aver utilizzato metodi di trattamento dell’acqua minerale vietati in alcuni Paesi, con conseguenti danni d’immagine.

Prospettive

Nonostante le attuali sfide, siamo fiduciosi che Nestlé riesca a invertire la rotta. Grazie a investimenti previsti nella pubblicità e al risparmio sui costi, Nestlé intende tornare a crescere più rapidamente della crescita organica del 2% prevista per il 2024. Nestlé si è resa conto di dover seguire di più i consumatori nel proprio percorso verso un’alimentazione sana, adeguando di conseguenza la sua gamma di prodotti. L’azienda prevede quindi di aumentare le vendite con prodotti più nutrienti e sani. Inoltre, a partire da quest’anno gestirà il ramo dell’acqua in bottiglia come settore d’attività globale indipendente. Con una strategia e partnership mirate, Nestlé punta a sfruttare il potenziale di crescita delle bevande premium.

In qualità di titolo difensivo con un dividendo interessante, Nestlé ha guadagnato valore nonostante la volatilità di inizio anno dovuta all’insediamento di Trump e alle turbolenze causate da DeepSeek, sebbene in misura minore rispetto all’SMI. Un altro fattore da non sottovalutare è che Nestlé serve il mercato americano con una produzione locale, fatta eccezione per le capsule Nespresso, il che dovrebbe proteggere in larga misura l’azienda dai dazi doganali statunitensi.                                                    

Andrea Bally
Specialista in investimenti


Le nostre previsioni

In balia dei dazi

Congiuntura

Un’aspra guerra commerciale è dannosa per tutti nel lungo periodo. Nel breve termine, però, gli Stati Uniti ne risentono appena, data la loro dominanza economica e la bilancia commerciale negativa. Per altre aree economiche, il potenziale effetto frenante dei dazi è molto più marcato, in particolare per l’Europa, già provata dal punto di vista economico.

Inflazione

I rischi inflazionistici stanno aumentando, soprattutto a causa dell’annuncio dei dazi punitivi statunitensi: all’estero l’obiettivo del 2% si allontana. Nel nostro Paese l’aumento dei prezzi rimane all’interno della fascia di oscillazione compresa tra lo 0 e il 2% fissata dalla BNS.

Tassi d’interesse

Di recente i mercati finanziari hanno rivisto le loro aspettative in merito alla riduzione dei tassi d’interesse. Negli Stati Uniti il ciclo di taglio dei tassi si è interrotto per il momento, mentre la BCE farà una pausa nel corso dell’anno non appena avrà raggiunto il livello neutro. La BNS, a sua volta, ridurrà il tasso di riferimento allo 0% nei primi sei mesi dell’anno. Per il momento non ci attendiamo tassi d’interesse negativi.

A causa delle incertezze sulla politica di Trump, i rendimenti dei Treasury rimangono per il momento al di sopra della soglia del 4%. I tassi del mercato dei capitali rimangono elevati anche in Europa, ma la fiducia nella BCE impedisce un drastico aumento. I rendimenti delle obbligazioni della Confederazione rimangono sotto pressione.

Valute

L’euro rimane sotto pressione per ragioni strutturali, contro le quali anche la politica monetaria può fare ben poco. Il dollaro rimane ben sostenuto grazie alla forza economica e al vantaggio in termini di tassi d’interesse degli Stati Uniti.

Santosh Brivio
Senior Economist


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Santosh Brivio

Santosh Brivio è Senior Economist presso la Banca Migros. Si occupa dell’analisi degli sviluppi macro e ciclici e dei mercati finanziari.

Valentino Guggia

Valentino Guggia è economista presso la Banca Migros. Si occupa dell’analisi degli sviluppi macroeconomici e degli eventi sui mercati finanziari.